venerdì 24 luglio 2009

A che punto è la tempesta perfetta!


Mentre la tempesta perfetta si appresta a compiere, tra poco più di due settimane, il suo secondo anno di vita (anche se non hanno torto quanti lo considerano già compiuto, facendola risalire alla chiusura dei due hedge funds facenti capo a Bear Stearns), gli analisti, gli economisti e gli investitori continuano a interrogarsi sul vero stato di salute delle principali entità protagoniste del mercato finanziario globale, non fosse altro che le davvero astronomiche cifre sugli impegni assunti dalle autorità monetarie statunitensi comunicate di recente al Congresso dall’autorità istituita per sorvegliare l’utilizzo del TARP risultano oramai multiple del PIL a stelle e strisce, una dimensione realmente impressionante anche se nessuno ipotizza che tali impegni siano destinati a tradursi in esborsi effettivi, anche perché gli stessi graverebbero per 80 mila dollari su ogni cittadino americano, infanti e ottuagenari compresi.


D’altra parte, il fatto che quell’immenso volume di impegni presi dal Tesoro USA e dal sistema della riserva federale è pressoché integralmente collateralizzato fa capire che la montagna dei titoli della finanza più o meno strutturata posti al di sopra e al di sotto della linea di bilancio delle maggiori banche statunitensi è parcheggiata nelle enormi discariche a cielo aperto gestite dalla Fed di New York e da altre importanti sue consorelle basate altrove, un parcheggio temporaneo che non ha eliminato il rischio per le banche altrettanto temporaneamente salvate dall’attività incessante delle donne e degli uomini alle dipendenze di Bernspan.

Come ho avuto modo di scrivere in questi giorni, chi si aspettava un segnale chiarificatore dai bilanci delle maggiori banche statunitensi, per la maggior parte di quelle europee occorrerà pazientare ancora un po’, è rimasto certamente deluso, non solo e non tanto per i risultati netti, quanto perché non si è affatto arrestata la pioggia di svalutazioni, accantonamenti e messe e perdita relativi alla parte più strettamente creditizia dell’attività bancaria, ma anche perché a nessuno è sfuggita la ripresa alla grande delle attività più rischiose, attività che hanno portato certamente buoni utili, ma che hanno determinato un’impennata dei prezzi delle materie prime energetiche e non che rischia di congelare quei germogli di ripresa di cui tanto si parla negli ambienti governativi mentre sono ancora pressoché invisibili agli occhi dei comuni mortali.

Se questa è la situazione al di là dell’Oceano Atlantico, non si può certo dire che le cose siano più rosee sulla sponda europea, Isole britanniche ovviamente comprese, non fosse altro che perché gli impegni dei singoli paesi membri dell’Unione europea sono ancora molto più modesti di quelli messi in campo negli Stati Uniti d’America, mentre non sembra affatto che i rischi siano di minore entità, né che il leveraged ratio delle principali banche europee sia oggi a livelli più contenuti di quanto fosse prima della tempesta perfetta.

Per chi fosse interessato a un’analisi approfondita della situazione europea, sarebbe utile leggere un rapporto pubblicato dal sito Minianville il 20 di questo mese con il titolo European Banks on the Brink, un testo redatto da John Mauldin e corredato da un certo numero di tabelle estremamente interessanti che non è certamente adatto ai cuori deboli, cosa della quale è molto consapevole lo stesso autore che consiglia ai suoi lettori di bere una ‘bevanda per adulti’ prima di sottoporsi alla lettura del testo e delle tabelle, in particolare di quelle che riportano gli attuali valori del rapporto tra esposizione delle banche e patrimonio delle stesse o quelle relative al rapporto tra esposizione bancaria più titoli di Stato e prodotto interno lordo dei vari paesi!