venerdì 17 luglio 2009

Ma cosa è davvero Goldman Sachs? (seconda parte)


Se davvero la principale fonte di guadagni dei senior e junior partners di Goldman Sachs proviene dall’attività consistente nello scommettere sugli andamenti futuri di prezzi,indici, tassi e valute, è molto importante capire quanto le stesse abbiano le caratteristiche delle self fulfilling prophecies, cioè delle cosiddette profezie auto realizzantesi, che, a loro volta, sono rese possibili dalla forma che assume il mercato in cui si opera, dalla quantità e dal livello di informazioni di cui si dispone, dall’esperienza e preparazione delle persone direttamente impegnate, dalla qualità e dalla affidabilità del sistema informativo e operativo, nonché, the last but not the least dalle dimensioni e dal comportamento degli altri operatori.

Non è un mistero per nessuno che Goldman possiede, e alla grande, delle quattro condizioni esposte di sopra, così come correlativamente gode di una tale fama da indurre i competitors, che rappresentano la quinta condizione, ad assumere, nella maggior parte dei casi, un atteggiamento cooperativo e non di contrasto, una fattispecie comportamentale particolarmente visibile nel mercato delle materie prime energetiche, con particolare riferimento a quello dove si determinano i prezzi presenti e futuri del greggio.

Dopo essere stata negata se non addirittura irrisa per decenni dai paesi produttori, dalle compagnie petrolifere e dai maggiori esperti del settore, la tesi che vede una larga prevalenza della componente speculativa nella determinazione del prezzo del petrolio è ora accettata e sostenuta proprio da coloro che così ostinatamente negavano che il prezzo fosse determinato da qualcosa di diverso dalla domanda e dalla offerta di questa importante materia prima, domanda e offerta a loro volta strettamente connesse alle diverse fasi del ciclo economico, anche se sulla base di un tasso di elasticità significativamente ridottosi a causa delle modificazioni strutturali intervenute nelle economie dei paesi maggiormente industrializzati negli oltre tre decenni trascorsi dal primo shock petrolifero.

Ma quanto è avvenuto tra il dicembre del 2007 e il luglio del 2008, quando, in piena tempesta perfetta e mentre il prodotto interno lordo statunitense iniziava a dare sempre più evidenti segnali di frenata, il prezzo del greggio infranse rapidamente tutti i record per poi portarsi al massimo storico di 147 dollari al barile, ha definitivamente chiarito come bastasse che tutti credessero possibile l’obiettivo dei 200 dollari entro la fine di quell’anno sostenuta dagli analisti di Goldman e rafforzata dalle previsioni miste ai desideri del numero uno della russa Gazprom per abbattere come birilli posti in fila i vari livelli un tempo giudicati inviolabili, una nuova corsa all’oro che vide in scia alle banche più o meno globali una massa sterminati di investitori più o meno istituzionali, tra i quali si distinsero anche molti fondi pensione, come il famoso Calpers, con la differenza che Goldman e le sue dirette concorrenti girarono per tempo le proprie posizioni, mentre la maggior parte degli altri investitori restarono intrappolati nella successiva discesa verticale dei prezzi del greggio innescata dalla reazione dei paesi produttori, Arabia Saudita in testa.

Ma quello che è accaduto tra la seconda metà del mese di marzo e la prima metà di quello di giugno dell’anno in corso, è stato davvero ancora più clamoroso, in quanto il quasi raddoppio del prezzo del greggio è intervenuto quando erano già noti i crolli dei PIL nel primo trimestre sia la di qua che al di là dell’Oceano Atlantico e mentre si assisteva alla bruschissima frenata della crescita di Cina, India e dintorni, ma quel movimento al rialzo del prezzo del greggio era davvero indispensabile perché si potesse realizzare quella altrettanto incredibile corsa dell’orso sui mercati azionari!