Proprio quando dal più che disastrato settore immobiliare statunitense inizia a giungere qualche flebile segnale di stabilizzazione, una raffica di trimestrali aziendali non proprio lusinghiere e alcuni dati relativi alle aspettative dei consumatori e all’economia reale spingono, per il secondo giorno consecutivo i listini azionari a stelle e strisce in ribasso, anche se è ancora evidente la presa di mani forti che intervengono quando inizia a profilarsi il peggio, interventi che non riescono più, come è accaduto in alcune sedute della settimana scorsa, a mutare il segno meno in segno più, ma che riescono comunque a contenere le perdite entro livelli accettabili.
Nella puntata di lunedì del Diario della crisi finanziaria, avevo già segnalato l’importanza dell’ottava in corso, in quanto, come potrebbe dire meglio di me un analista tecnico, era più che evidente che il mercato azionario stava nettamente ‘sforzando’ dopo che il Dow Jones aveva superato la soglia dei 9 mila punti e il ben più rappresentativo Standard & Poor’s 500 sembrava avere a portata di mano il ritorno nell’area dei 1.000 punti, soglie psicologiche sicuramente importanti, ma che assumevano ancor più significato alla luce di quei capitomboli dei due indici intervenuti tra la metà di giugno e la metà di luglio che avevano bruscamente interrotto la corsa dell’orso.
Il primo segnale di difficoltà è venuto dalla pessima trimestrale del gigante dell’informatica Microsoft, un titolo quotato al Dow Jones, ma che, per evidenti motivi, influenza moltissimo il Nasdaq, ma credo che il netto e alquanto imprevisto calo del Consumer Confidence in giugno, dopo la ben più modesta flessione di maggio che aveva interrotto un a breve serie positiva, segnalato martedì e il calo del 2,5 per cento degli ordini di beni durevoli nel mese di giugno, la più netta flessione registrata negli ultimi cinque mesi, reso noto ieri hanno influito ancora di più sull’umore degli operatori e degli investitori, che, in preda al cosiddetto senno del poi, iniziano a chiedersi le ragioni che hanno spinto gli indici così lontano dai minimi di metà marzo senza che fossero giunti reali segnali di miglioramento né dal fronte occupazionale, né da quello finanziario, mentre è difficile trovare qualcuno che ritenga veramente che si sia toccato il fondo nella crisi del settore immobiliare, residenziale o commerciale che sia!
Né ritengo che abbia contribuito a rasserenare il clima l’ennesimo segnale d’allarme lanciato dal Fondo Monetario Internazionale sulle perdite per le banche statunitensi e per quelle europee, una tegola da 440 miliardi di dollari destinata a colpire in particolar modo le maggiori banche statunitensi e quelle basate nel Regno Unito, ma che potrebbe lasciare segni visibili anche nei bilanci delle banche degli altri maggiori paesi europei.
Lasciando gli operatori e gli investitori a lambiccarsi il cervello per capire quale direzione prenderanno i listini azionari a stelle e strisce, penso sia il caso di segnalare un insolito attivismo delle Authorities statunitensi, con la Securities & Exchange Commission che si appresta a rendere definitive le norme introdotte a suo tempo per combattere le vendite allo scoperto, anche se solo venerdì scopriremo le innovazioni previste dalla stessa presidentessa Mary Shapiro, mentre sono oramai in corso le audizioni dei vari soggetti interessati da parte del CFTC, l’ente preposto a vigilare sui mercati futuri delle materie prime e delle derrate alimentari, che dovrà esprimersi sulla possibile riforma dell’operatività sul petrolio e le altre materie prime fortemente voluta dall’amministrazione Obama, ma altrettanto vigorosamente osteggiata dalle maggiori entità protagoniste del mercato finanziario globale!