Non nutrivo grandi dubbi sulla decisione che il giudice Alan S. Gold, il magistrato del distretto di Miami che si è trovato tra le mani la patata bollente dello spallonaggio organizzato dal colosso creditizio UBS, You & Us in favore di 52 mila suoi clienti americani desiderosi di mettere complessivamente svariati miliardi di dollari al riparo dalle mire del fisco a stelle e strisce, avrebbe preso in relazione alla mozione congiunta dei governi degli Stati Uniti d’America, della Confederazione elvetica e della stessa UBS per posporre l’audizione dei funzionari del fisco alla data del 3 agosto, una richiesta motivata dalla necessità di disporre di più tempo per giungere a una soluzione del contenzioso che minacciava di innescare una serie di espropri a catena sia al di qua che al di là dell’Oceano Atlantico, mentre la banca elvetica rischiava seriamente di perdere la possibilità di continuare a operare nel mercato statunitense.
Non che il povero Gold (omen nomen) non si sia meritato sul campo la fama di essere uno davvero tosto, una caratteristica personale certamente aiutata dal fatto di avere a disposizione la pistola fumante fornitagli dalla attiva collaborazione di un ex dirigente di UBS in terra americana, un manager che ha dimostrato di avere poco da invidiare ai più noti pentiti della malavita organizzata, ma non è neppure ipotizzabile che decidesse di mettersi di traverso rispetto alla richiesta di dilazione avanzata direttamente dal Governo del suo paese, una pressione per lui certamente più significativa del pressing proveniente da Berna e dintorni, anche perché sa benissimo che, nella migliore delle ipotesi, la banca svizzera è destinata a pagare una multa di non meno di 5 miliardi di dollari, una multa storica in larga misura dovuta al suo operato e che sono certo che il buon Alan sarà molto fiero di raccontare ai suoi nipotini.
Purtroppo, al di là dell’epilogo più o meno sanguinoso per la banca che è attualmente vicepresieduta dallo svizzero-canadese Serge Marchionne, il Chief Executive Officer al contempo della FIAT e della New Chrysler, ma anche il top manager che ha rifiutato di avere un impegno più diretto alla guida di UBS, della quale è comunque membro del comitato esecutivo, oltre che, come dicevo di sopra vice presidente, la vicenda che vede coinvolta la banca svizzera si inserisce, come scrivevo nella puntata di ieri del Diario della crisi finanziaria a pieno titolo nella guerra senza quartiere dichiarata dai governi dei maggiori paesi industrializzati nei confronti di quanti, stati, statarelli, banche più o meno globali, rendono facile la sottrazione di immense risorse alla più o meno equa contribuzione alle sempre più vuote casse delle nazioni ove quei redditi vengono realizzati, una guerra nella quale Obama, Brown, Sarkozy e Frau Merkel stanno mostrando una determinazione davvero inconsueta, ma perfettamente comprensibile alla luce del fatto che i loro elettori stanno mostrando da tempo il pollice verso nei confronti dei riciclatori di denaro più o meno sporco motivati da un odio maggiore per i reati commessi dai cosiddetti colletti bianchi che per quelli ascrivibili alla criminalità più o meno organizzata!
E’ bastata che una nota analista esperta del settore bancario esprimesse un parere lusinghiero sulle sorti della potente ma ancor più preveggente Goldman Sachs e una valutazione meno negativa su quelle di Bank of America per interrompere il crollo in corso da due settimane almeno della maggior parte delle azioni delle banche a stelle e strisce, anche se mi è bastato dare una scorsa alle anticipazioni del rapporto per scoprire che si tratta di poco più che un’abile cortina fumogena per distrarre il mercato dalle conseguenze del sempre più probabile fallimento di CIT, l’entità trasformatasi in holding bancaria solo per ricevere 2,3 miliardi di dollari dal TARP e che non si sa ancora se verrà salvata da qualche altra banca in condizioni di salute più floride.