Dopo aver organizzato in settembre una riunione semiclandestina tra i suoi due vice e una trentina di stremati top manager delle più importanti banche statunitensi, riunione svoltasi durante un week end e dalla quale scaturì l'idea di istituire il MLEC, il fondo interbancario destinato a fare da collettore dei titoli della finanza strutturata, Henry Paulson, ministro del Tesoro USA, ha rotto gli indugi ed ha radunato intorno a sé i numeri uno di Citigroup, Countrywide, Wells Fargo e Washington Mutual per dare loro una svegliata.
L'ex numero uno di Goldman Sachs (ma si è mai ex di questa istituzione?) ha ritrovato il piglio del condottiero ed ha spiegato al suo doppiamente ex collega Robert Rubin, già ministro del Tesoro ed ex numero due di Goldman, ed agli altri preoccupatissimi banchieri che è ormai giunta l'ora di prendere il toro per le corna e congelare l'innalzamento dei tassi sui sub prime e sugli altri mutui indicizzati per evitare un'ondata travolgente di espropri immobiliari, ma, soprattutto, per garantire la stessa sopravvivenza dei loro istituti ed il permanere di quel sistema semi pubblico che, attraverso Fannie Mae e Freddie Mac, consente, o meglio consentiva, alle banche di rivendere agevolmente i loro mutui.
In attesa di vedere se l'ultima iniziativa di Paulson avrà la stessa sorte del MLEC, annunciato in pompa magna da Bank of America, Citigroup e JP Morgan-Chase in settembre e del quale si sono ormai perse le tracce, fatta eccezione per l'indicazione del gestore nel fondo Blackstone, non resta che ricordare al potente ministro del Tesoro che, come lui peraltro sa benissimo, il problema non è tanto quello, per quanto meritorio, di risolvere i problemi dei mutuatari, quanto quello di convincere i riottosi risparmiatori a smetterla con il loro prolungato sciopero e ad acquistare nuovamente, possibilmente ad occhi chiusi, quei prodotti della finanza strutturata che stanno ingolfando per multipli dei sub prime i conti on ed off balance sheet delle banche.
Nel frattempo, forse contagiato dall'attivismo di Paulson, Ben Bernanke ha rotto gli indugi e, nel corso di una conferenza serale presso una qualsiasi camera di commercio ha detto agli intervenuti quello che volevano sentirsi dire e, cioé, che la Federal Reserve non tradirà le aspettative del mercato sul proseguimento di una catena prolungata di tagli ai tassi sui Fed Funds, confermando quelli che molti già ipotizzavano: che le favole su un atteggiamento punitivo dei regolatori nei confronti di coloro che ci hanno portato sino a questo punto vanno bene quando le cose vanno bene e non quando vi è il concreto rischio di un collasso del sistema finanziario.
Sarà un caso, ma oggi le azioni di almeno due delle banche partecipanti alla riunione con Paulson hanno registrato una crescita percentuale a due cifre, ma la mossa del ministro ha tonificato l'intero listino finanziario, con l'eccezione della sua Goldman Sachs che si è posta da tempo in controtendenza con i desiderata del suo ex numero uno, puntando, invece, dichiaratamente sull'acquisizione a prezzi da saldo dei titoli della finanza strutturata e, forse, anche delle spoglie delle pressoché dissestate banche rivali.
Il fatto che oggi siano giunte ulteriore notizie pessime per il settore immobiliare statunitense, con il maggior calo delle spese per l'edilizia da lungo tempo, e che le spese dei consumatori crescano ai livelli più bassi degli ultimi quattro mesi non ha turbato più di tanto gli operatori del mercato finanziario, da lungo tempo convinti che le emergenze della economia di carta sono largamente più importanti delle inezie relative all'economia reale con i suoi dati noiosi relativi a reddito, occupazione e condizioni di vita delle persone.
Continua, intanto, l'attivismo delle banche centrali sul mercato dei cambi, con interventi che hanno temporaneamente ricondotto l'euro e lo yen a livelli più bassi nei confronti di un dollaro che, alla luce delle parole di Bernanke, sarebbe dovuto sprofondare almeno verso i livelli di 1,50 contro l'euro e tornare di volata ai 107 yen.
Le stesse banche centrali si sono rivelate meno fortunate nel loro costante tentativo di riportare i tassi di interesse sul mercato interbancario a livelli più ragionevoli e, così, oggi l'euribor a tra mesi ha superato di slancio il massimo toccato settimane fa, mentre la scadenza ad un mese ha fatto un balzo in due giorni di oltre 60 punti base, livelli che risultano micidiali per tutte le forme di indebitamento indicizzate all'una o all'altra scadenza e spia inequivocabile del fatto che questa crisi finanziaria, in realtà una crisi di fiducia, è ben lungi dalla sua conclusione.
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