Continua, almeno apparentemente senza soste, la guerra per banche negli Stati Uniti d’America, ma non si scherza neanche in Europa e in Italia, e l’ultima battaglia è condotta a suon di dossier di valutazione dei concorrenti, un gioco nel quale il ruolo di assoluta protagonista è interpretato dall’ineffabile, potente e preveggente Goldman Sachs, che, giovedì, in un colpo solo ha gettato nel panico i vertici di Citigroup, Bank of America e J.P. Morgan-Chase con valutazioni sui conti delle tre banche USA nel quarto trimestre tali da farle stramazzare al suolo.
Sarà un caso, ma colpisce che gli strali degli attenti e preparati analisti di Goldman si siano diretti contro le tre sole entità del vasto panorama finanziario che avevano, seppur obtorto collo, accettato di accogliere l’imperativo suggerimento dell’ex numero uno di Goldman e attualmente, non si sa per quanto viste le performance recenti, ministro del Tesoro di Gorge W. Bush junior, e si erano imbarcati nella ormai defunta avventura della realizzazione di quel MLEC che tanto ha contribuito ad aumentare il panico degli operatori e le perplessità di commentatori e analisti.
Secondo i tre analisti un po’ teleguidati di Goldman, le tre banche USA dovranno spesare nel quarto trimestre dell’anno perdite complessive per la bellezza di 33,6 miliardi di dollari, così ripartite: 18,7 miliardi per Citigroup, 11,5 per Merrill Lynch e solo 3,4 miliardi (ma il dato rappresenta il doppio delle precedenti previsioni dei tre maliziosi analisti) per la più solida ed avveduta del trio che è rappresentata da J.P. Morgan-Chase.
Ma la vera perfidia degli analisti di Goldman riguarda la povera Citigroup, che non solo è chiamata ad operare svalutazioni monstre dei titoli della finanza strutturata (in gran parte i micidiali collateralized debt obligations), ma si prevede che dovrà tagliare di ben il 40 per cento quel livello elevatissimo di dividendi che rappresenta l’unico motivo degli attuali e dei futuri azionisti di Citi per non seguire il perentorio sell emesso dai nostri tre analisti coraggiosi di Goldman a conclusione del loro rapporto.
Pur a fronte delle mega svalutazioni previste per Merrill Lynch ed alla crescita esponenziale di quelle che toccheranno a J.P. Morgan-Chase, i nostri mantengono un giudizio tutto sommato lusinghiero di neutral, ma è evidente ai più che si tratta soltanto di una fase nell’escalation del processo di downgrade, ma anche del timore del committente dei giudizi delle possibili contromosse delle tre banche che hanno certamente messo all’opera i loro altrettanto numerosi ed agguerriti analisti con l’esplicita mission di fare e senza pietà le pulci ai già noti conti trimestrali ed annuali di Goldman.
In attesa di assistere alle future puntate di questa guerra per banche, mi limito a segnalare che anche l’entità semi pubblica che si occupa di finanziare i genitori che vogliono assicurare un livello adeguato di studi ai propri figli, un’entità affettuosamente chiamata Sallie Mae, sta battendo cassa presso il mercato per un ammontare che dagli iniziali 1,5 miliardi di dollari è presto passato, vista l’aria sempre più brutta che tira, a 2,5 miliardi, anche se deve farsi largo tra le ben più grosse Fannie Mae e Freddie Mac che le loro massicce e pressanti richieste al mercato le hanno fatte già da qualche tempo.
Sarà un caso, ma colpisce che gli strali degli attenti e preparati analisti di Goldman si siano diretti contro le tre sole entità del vasto panorama finanziario che avevano, seppur obtorto collo, accettato di accogliere l’imperativo suggerimento dell’ex numero uno di Goldman e attualmente, non si sa per quanto viste le performance recenti, ministro del Tesoro di Gorge W. Bush junior, e si erano imbarcati nella ormai defunta avventura della realizzazione di quel MLEC che tanto ha contribuito ad aumentare il panico degli operatori e le perplessità di commentatori e analisti.
Secondo i tre analisti un po’ teleguidati di Goldman, le tre banche USA dovranno spesare nel quarto trimestre dell’anno perdite complessive per la bellezza di 33,6 miliardi di dollari, così ripartite: 18,7 miliardi per Citigroup, 11,5 per Merrill Lynch e solo 3,4 miliardi (ma il dato rappresenta il doppio delle precedenti previsioni dei tre maliziosi analisti) per la più solida ed avveduta del trio che è rappresentata da J.P. Morgan-Chase.
Ma la vera perfidia degli analisti di Goldman riguarda la povera Citigroup, che non solo è chiamata ad operare svalutazioni monstre dei titoli della finanza strutturata (in gran parte i micidiali collateralized debt obligations), ma si prevede che dovrà tagliare di ben il 40 per cento quel livello elevatissimo di dividendi che rappresenta l’unico motivo degli attuali e dei futuri azionisti di Citi per non seguire il perentorio sell emesso dai nostri tre analisti coraggiosi di Goldman a conclusione del loro rapporto.
Pur a fronte delle mega svalutazioni previste per Merrill Lynch ed alla crescita esponenziale di quelle che toccheranno a J.P. Morgan-Chase, i nostri mantengono un giudizio tutto sommato lusinghiero di neutral, ma è evidente ai più che si tratta soltanto di una fase nell’escalation del processo di downgrade, ma anche del timore del committente dei giudizi delle possibili contromosse delle tre banche che hanno certamente messo all’opera i loro altrettanto numerosi ed agguerriti analisti con l’esplicita mission di fare e senza pietà le pulci ai già noti conti trimestrali ed annuali di Goldman.
In attesa di assistere alle future puntate di questa guerra per banche, mi limito a segnalare che anche l’entità semi pubblica che si occupa di finanziare i genitori che vogliono assicurare un livello adeguato di studi ai propri figli, un’entità affettuosamente chiamata Sallie Mae, sta battendo cassa presso il mercato per un ammontare che dagli iniziali 1,5 miliardi di dollari è presto passato, vista l’aria sempre più brutta che tira, a 2,5 miliardi, anche se deve farsi largo tra le ben più grosse Fannie Mae e Freddie Mac che le loro massicce e pressanti richieste al mercato le hanno fatte già da qualche tempo.
Ma quello che non ha giovato agli umori del mercato è stato il flop dell’attesissimo rimbalzo degli ordini di beni durevoli dopo il vero e proprio tonfo di ottobre e che si è invece tradotto in un miserrimo incremento dello 0,1 per cento (contro il +2,2 per cento atteso) ed un lieve recupero della fiducia dei consumatori per il futuro più o meno remoto, mentre il giudizio degli intervistati sul presente ha continuato a scendere precipitosamente verso livelli più bassi di quelli registrati solo un mese prima.
Ma la vera campana a morto è suonata poco prima con il calo del 7,6 per cento delle richieste di nuovi mutui, una flessione che si è rivelata ancora più consistente nella componente del rifinanziamento degli stessi mutui, calato dell’8,5 per cento, mentre quella relativa ai nuovi mutui è scesa "solo" del 6,6 per cento,, con l’indice complessivo che si è portato a 603,8 dal massimo di 1.856,7 toccato nell’ormai lontanissimo, e non solo in termini temporali, maggio del 2003.; non è quindi del tutto casuale se i listini americani prima, quelli asiatici poi, per finire in modo leggermente più dolce nella conservatrice Europa, hanno accusato il colpo e, anche se ancora una volta al netto delle mani forti che da tempo si vedono sul mercato finanziario globale, hanno segnato ribassi di tutto rispetto.
Nonostante abbia retto molto meglio del previsto e del prevedibile agli effetti della crisi finanziaria in corso, il comparto degli hedge fund inizia sempre di più a fare i conti con gli effetti del credit crunch e non si contano più le chiusure o le limitazioni degli affidamenti facenti capo a banche sempre più nervose ed attente al rischio di controparte, mentre, per i finanziamenti e i committments residui sta salendo ogni giorno che passa il costo che i banchieri richiedono per la loro merce sempre più rara.
Venendo all’Italia, non stupisce la notizia che racconta che Mediobanca, advisor sia della Banca Popolare di Vicenza che del Banco Popolare, ha chiesto alle due banche di cedere a sé stessa, con una spesa di 400 milioni di euro, le partecipazioni in una società di credito al consumo, denominata Linea, portandosi così al terzo posto tra le entità operanti nel lucroso mercato del credito al consumo e nel quale aveva già un posto di rilievo mediante la controllata Compass, ponendosi immediatamente alle spalle del gigante Findomestic conteso tra BNP Paribas e Intesa-San Paolo e della Prestitempo controllata da Deutsche Bank.
Con questa operazione si semplifica ulteriormente il quadro dei soggetti dominanti questo importante segmento del mercato finanziario italiano, che, a parte le società controllate dai gruppi industriali e finalizzate all’acquisto a rate dei propri prodotti, vede l’assoluta prevalenza dei soggetti interamente controllati dalle banche a fronte di una pletora, ma dalle quote di mercato ridottissime, di società finanziarie.
A costo di essere monotono e alla luce delle forti implicazioni sociali del crescente ricorso all’indebitamento da parte delle famiglie, ripropongo un mantra che sembra lasciare completamente indifferenti il Governatore Draghi ed il Governo, un mantra che può sintetizzarsi nella intollerabilità di un tasso di riferimento per il calcolo del tasso usurario valido per le banche e di uno, ben più elevato, applicabile alle società finanziarie.
Pur sperando raramente nell'esistenza dell'ultranoto giudice a Berlino, credo proprio che l'applicazione anche alle società finanziarie possedute al 100 per cento dalle banche del tasso di usura previsto per le piccole o microscopiche società finanziarie costituisca un errore che porta profitti largamente superiori a quelli che dovrebbero essere alle banche e mette spesso, e in modo del tutto legale, il cappio al collo di milioni di debitori più o meno consapevoli di questo vero e proprio assurdo giuridico.
Così come è inderogabile che venga previsto il calcolo di una rata sostenibile che tenga conto di tutti gli impegni finanziari a vario titolo contratti dal cliente, in perfetta analogia con quanto già fanno le banche quando valutano l'incidenza della rata del mutuo, ovviamente di quello a tasso fisso, sul reddito effettivo del soggetto richiedente il mutuo stesso
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