In attesa di conoscere gli esisti delle indagini disposte dall’Attorney General di New York, Andrew Cuomo, sulle maggiori banche e case di investimenti operanti sulla piazza finanziaria americana, si apprende da un articolo apparso ieri su La Repubblica che il taglio medio dei bonus non dovrebbe essere superiore al 10 per cento di quella montagna di dollari che erano stati previsti in precedenza (una flessione nettamente più modesta di quella registrata, nel frattempo, dagli utili delle aziende eroganti i premi) e che, nella sola Goldman Sachs, la torta da spartirsi tra Blankfein e associati, poi giù sino all’ultimo degli addetti si aggira sui 20 miliardi di dollari che, come ricorda l’autore dell’articolo, è ben il doppio del PIL della Giamaica.
La festa è comunque un po’ guastata dalla proporzione tra azioni e soldi, in quanto le prime peseranno per il 70 per cento ed i secondi solo per il 30 per cento, una proporzione esattamente opposta a quella registrata nel 2006 e che apre anche i beneficiari al rischio di ulteriori deprezzamenti del titolo della loro banca, così come solitamente accade ai comuni mortali, senza considerare che quella modesta flessione del 10 per cento del monte bonus rappresenta la prima flessione dal 2002.
Ma la flessione non riguarda tutti i comparti del variegato mercato finanziario, in quanto si apprende che nel settore delle fusioni e acquisizioni, un settore peraltro dalle prospettive fosche per l’anno che sta per iniziare, l’ammontare dei bonus 2007 sarà del 15-20 per cento superiore a quello registrato a fine 2006, rendendo agli interessati meno traumatica la prospettiva del più che probabile licenziamento previsto nell’ambito dei processi di downsizing già allo studio in molte delle entità specializzate in questa che è una delle attività più vulnerabili in relazione all’attuale e, ancor più, al previsto impatto del credit crunch, un fenomeno destinato a raggiungere una dimensione compresa tra i 6 e gli 8 mila miliardi di dollari.
Anche se non se ne parla molto, quello dei licenziamenti nel settore finanziario e nell’annesso comparto dell’intermediazione immobiliare sta raggiungendo, almeno negli Stati Uniti, dimensioni allarmanti, con un saldo negativo che potrebbe superare, a fine anno, la soglia dei 200 mila addetti, un fenomeno che si accompagna ai tagli occupazionali nel settore manifatturiero ed in quello dell’edilizia e che non porta al segno meno a livello complessivo solo perché, da cinque mesi, crescono gli addetti alla sanità pubblica e privata, al settore alberghiero, a quello dell’insegnamento e, in misura marcata, i dipendenti pubblici a livello locale e federale.
Sin dalla diffusione delle prime indiscrezioni sul piano Bush-Paulson, ma ancor più quando ne sono stati rivelati i dettagli, si sono levate vibranti critiche alla prevista attribuzione del peso del previsto congelamento quinquennale degli interessi su subprime ed altri mutui indicizzati a carico degli acquirenti di bond che, in tutto o in parte, sono legati agli stessi mutui, anche perché, oltre al prevedibile, ulteriore calo di questi bond, ciò farà crescere la già forte allergia dei risparmiatori e degli investitori istituzionali verso questa forma di investimento.
L’andamento degli indici azionari statunitensi, ma in particolare il livello delle azioni delle banche e delle altre entità maggiormente sensibili agli effetti del piano, è, peraltro, eloquente, anche perché, dopo gli entusiasmi iniziali (non eccezionali, in verità), si è registrata, nell’ultima seduta della settimana scorsa, una maggiore cautela sui tre indici principali e l’annullamento di buona parte dei guadagni registrati nelle sedute precedenti per quanto riguarda i titoli di banche e finanziarie, in particolare nel caso del duo Fannie Mae e Freddie Mac.
Nonostante l’impegno della Federal Reserve, della Banca Centrale Europea e della Bank of England, il livello dei tassi sui mercati interbancari continua a macinare un record dietro l’altro, mentre nessuno sa dove arriverà a ridosso della cruciale scadenza di fine anno, spingendo i differenziali tra i libor e l’euribor rispetto ai tassi ufficiali a livelli abnormi e che rischiano di vanificare l’effetto dei tagli dei tassi ufficiali realizzati dalla Fed e dalle BoE e gli stessi mancati rialzi della BCE.
A questo proposito, è veramente emblematico il caso del libor sulla sterlina britannica che, per le scadenze più cruciali, incluse quelle a brevissimo, supera di 110 punti base il tasso del 5,50 stabilito giovedì scorso dall’istituto guidato dall’ineffabile King, ma anche quelli sull’euribor ad un mese e a tre mesi si collocano ormai a poco meno di un punto percentuale dal tasso ormai congelato applicato dalla BCE.
Pur trattandosi di un fenomeno che, seppure in modo strisciante, va avanti da alcune settimane, solo nei giorni scorsi esso, o meglio l’effetto che sta avendo sulle rate di mutui carte revolving ed altre forme di credito personale ed al consumo indicizzati, sulla base di riferimenti puntuali o basati su medie, a questi indicatori che in realtà dimostrano di essere soggetti a forze che sono largamente indipendenti rispetto ai desiderata dei rispettivi banchieri centrali.
Così come, almeno negli ultimi giorni, quasi tutti i commentatori mettono in relazione questa disubbidienza di banche e finanziarie con il crescere dei sospetti che qualche grande istituzione finanziaria europea potrebbe trovarsi in acque molto pericolose, al punto da non essere in grado di procurarsi livelli sufficienti di liquidità in vista della sempre più attesa chiusura di fine anno, sospetti che le ultime dichiarazioni di qualche commissario europeo non sono serviti certo a dissipare.
Anche sul fronte sul quale stanno realizzando dei parziali successi, quello rappresentato dai principali cross sul mercato valutario, i templari della BCE e gli apprendisti stregoni di Fed, BoE e della Bank of Japan, stanno in realtà contrastando e comprimendo le forze di mercato che sono orientate ad un indebolimento ancora maggiore del dollaro verso tutte le altra valute, inclusa, se esistesse, la pizza di fango del Camerun, con il prevedibile risultato che, alquanto a breve, il trend ribassista riprenderà con maggior forza e facendo la fortuna di tutti coloro che nella posizione dei banchieri centrali hanno letto un chiaro disco verde ad andare corti sul biglietto verde.
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