La scelta del Consiglio di Amministrazione dell’Alitalia tra le due offerte preliminari di acquisto della compagnia di bandiera presentate da Air France e di Air One, prima ancora che per i contenuti della stessa, ha stupito il mondo economico, quello politico e sindacale e la smaliziata stampa più o meno specializzata per il solo fatto che il presidente e gli altri membri del consiglio si sono improvvisamente ricordati di essere degli amministratori a tutti gli effetti e che loro compito era quello di esaminare gli aspetti economici, industriali e sociali presenti nei piani industriali allegati alle due offerte.
Ignorando bellamente gli inviti che da più parti erano stati loro rivolti affinché prendessero tempo, facessero finta di procedere all’esame comparato delle offerte, dello standing e della credibilità degli offerenti, in una parola, si limitassero a fare i passacarte in direzione di superiori e politicamente più accorti livelli decisionali, Prato e compagni hanno avuto un sussulto di dignità e dopo un congruo numero di ore in seduta collegiale preceduto da giorni e giorni di lavoro compiuto in vista della riunione del consiglio ha stabilito che l’offerta di Air France era da preferire a quella presentata da Air One.
Ma questa resipiscenza del fatto di essere il vertice regolarmente nominato di Alitalia non ha prodotto solo questo effetto ma anche quello di motivare le ragioni che avevano spinto il CdA a compiere questa scelta, ritenendo che non solo il non trascurabile fatto di aver offerto i francesi un importo per azione trentacinque volte superiore all’offerta di Air One, ma l’entità degli investimenti, la credibilità aziendale, le prospettive, l’integrazione in un network di cui, già in lontani e non sospetti anni passati, Alitalia aveva mostrato il desiderio di far parte, costruivano elementi sufficienti per preferire l’offerta di Spinetta a quella di Toto.
Già il fatto di aver esaminato in profondità le offerte, di aver compiuto la scelta e di averla motivata, cose, ripeto, del tutto normali per un normale CdA di una normale azienda, con il corollario naturale per un’azienda partecipata al 49 per cento dallo Stato, di aver trasmesso al ministro dell’Economia che, a sua volta, ha trasmesso al Presidente del Consiglio dei ministri il verbale della riunione ha suscitato schiamazzi e reazioni scomposte che hanno riguardato, nell’ordine, l’opposizione, autorevoli membri del governo e della maggioranza, le tre confederazioni sindacali all’unisono, le regioni del Nord, gli stessi abitanti dei comuni vicini a Malpensa che da lungo tempo protestano per l’inquinamento e la rumorosità dello scomodo aeroporto, ma, al contempo, temono le ricadute economiche del suo presunto ridimensionamento.
Insomma, una volta di più, tutto e il contrario di tutto, con un giudizio prevalente che era quello di ritenere che Prato e gli altri consiglieri non fossero tenuti, come invece le disposizioni di legge, le norme della Consob e lo stesso buon senso prevedono, a fare, auspicabilmente bene, il mestiere per il quale sono poco o tanto pagati, quasi si preferisse che assurgessero a novelli Ponzio Pilato, lavandosene bellamente le mani di una situazione che è, a giudizio almeno stavolta unanime, in avanzato stato di decomposizione.
Anche se un esame, per quanto sommario e superficiale, delle due offerte avrebbe consentito a chiunque, con il doveroso presupposto della buona fede, di concordare con l’analisi e le conclusioni fatte dal consiglio di amministrazione di Alitalia e di comprendere che tra l’offerta di Air France e quella di Alitalia non vi era praticamente confronto e che la disinformazione sui contenuti degli stessi piani industriali aveva superato i limiti della decenza, al punto da far ritenere a tutti coloro che non difendono pregiudizialmente interessi più o meno vestiti che l’amministratore delegato di Air France sia stato molto diplomatico e gentile nel dire che il suo era un piano industriale e quello dei concorrenti, al più, un piano bancario, con un esplicito riferimento al perlomeno strano ruolo giocato da Intesa-San Paolo, e più in particolare dal suo non precisamente in ascesa amministratore delegato Corrado Passera, nei confronti del costruttore marchigiano, tale Toto, che, dopo essersi spartito in regime oligopolistico le lucrose rotte nazionali con Alitalia, pensava forse di essere un novello Davide che sconfigge il favorito Golia.
La storia, in un paese normale, finirebbe qui, eppure le pagine dei quotidiani, nessuno escluso, sono state piene, e ancora lo sono, delle ragioni, più spesso della vera e propria disinformazione, dei vinti e dei minacciosi proclami di guerra che il popolo del Nord pronuncerebbero contro la minacciata annessione alla Francia della disastrata compagnia di bandiera italiana, di veti confederali non basati su sante questioni come le ricadute occupazionali ma sull’onta di non essere stati consultati sulle scelte strategiche, strilli e proclami che, azzardo, non muoveranno di un centimetro la distanza siderale esistente tra la proposta del costruttore marchigiano sponsorizzato da passere e quella avanzata con una certa sobrietà, ma altrettanta credibilità, dai francesi di Air France.
E’ molto triste, ma pare proprio che, anche dopo l’estremamente istruttiva vicenda vissuta ai tempi della crisi e del rischiato fallimento della Fiat, un evento quasi auspicato dall’allora premier Berlusconi, una crisi che, al di là della montagna di parole, non vide farsi avanti nessuno dei capitani coraggiosi dell’imprenditoria italiane e fu necessario l’intervento, per fortuna temporaneo e lucroso, delle banche, nessuno ricordi che esiste solo un modo per vincere una gara ed è dato dall’avanzare un’offerta che, analizzata - come è doveroso - da tutti gli angoli visuali, superi quella concorrente, anche se di poco.
Così come è utile ricordare che per i principali protagonisti di questa vicenda, e cioè i circa ventimila dipendenti di Alitalia e Az Servizi, quello che conta sono le garanzie di breve e medio periodo, molto più che l’italianità o meno dell’offerta che, soprattutto nello scigurato caso di perdita del posto di lavoro, rappresenterebbe una ben misera consolazione.
Ignorando bellamente gli inviti che da più parti erano stati loro rivolti affinché prendessero tempo, facessero finta di procedere all’esame comparato delle offerte, dello standing e della credibilità degli offerenti, in una parola, si limitassero a fare i passacarte in direzione di superiori e politicamente più accorti livelli decisionali, Prato e compagni hanno avuto un sussulto di dignità e dopo un congruo numero di ore in seduta collegiale preceduto da giorni e giorni di lavoro compiuto in vista della riunione del consiglio ha stabilito che l’offerta di Air France era da preferire a quella presentata da Air One.
Ma questa resipiscenza del fatto di essere il vertice regolarmente nominato di Alitalia non ha prodotto solo questo effetto ma anche quello di motivare le ragioni che avevano spinto il CdA a compiere questa scelta, ritenendo che non solo il non trascurabile fatto di aver offerto i francesi un importo per azione trentacinque volte superiore all’offerta di Air One, ma l’entità degli investimenti, la credibilità aziendale, le prospettive, l’integrazione in un network di cui, già in lontani e non sospetti anni passati, Alitalia aveva mostrato il desiderio di far parte, costruivano elementi sufficienti per preferire l’offerta di Spinetta a quella di Toto.
Già il fatto di aver esaminato in profondità le offerte, di aver compiuto la scelta e di averla motivata, cose, ripeto, del tutto normali per un normale CdA di una normale azienda, con il corollario naturale per un’azienda partecipata al 49 per cento dallo Stato, di aver trasmesso al ministro dell’Economia che, a sua volta, ha trasmesso al Presidente del Consiglio dei ministri il verbale della riunione ha suscitato schiamazzi e reazioni scomposte che hanno riguardato, nell’ordine, l’opposizione, autorevoli membri del governo e della maggioranza, le tre confederazioni sindacali all’unisono, le regioni del Nord, gli stessi abitanti dei comuni vicini a Malpensa che da lungo tempo protestano per l’inquinamento e la rumorosità dello scomodo aeroporto, ma, al contempo, temono le ricadute economiche del suo presunto ridimensionamento.
Insomma, una volta di più, tutto e il contrario di tutto, con un giudizio prevalente che era quello di ritenere che Prato e gli altri consiglieri non fossero tenuti, come invece le disposizioni di legge, le norme della Consob e lo stesso buon senso prevedono, a fare, auspicabilmente bene, il mestiere per il quale sono poco o tanto pagati, quasi si preferisse che assurgessero a novelli Ponzio Pilato, lavandosene bellamente le mani di una situazione che è, a giudizio almeno stavolta unanime, in avanzato stato di decomposizione.
Anche se un esame, per quanto sommario e superficiale, delle due offerte avrebbe consentito a chiunque, con il doveroso presupposto della buona fede, di concordare con l’analisi e le conclusioni fatte dal consiglio di amministrazione di Alitalia e di comprendere che tra l’offerta di Air France e quella di Alitalia non vi era praticamente confronto e che la disinformazione sui contenuti degli stessi piani industriali aveva superato i limiti della decenza, al punto da far ritenere a tutti coloro che non difendono pregiudizialmente interessi più o meno vestiti che l’amministratore delegato di Air France sia stato molto diplomatico e gentile nel dire che il suo era un piano industriale e quello dei concorrenti, al più, un piano bancario, con un esplicito riferimento al perlomeno strano ruolo giocato da Intesa-San Paolo, e più in particolare dal suo non precisamente in ascesa amministratore delegato Corrado Passera, nei confronti del costruttore marchigiano, tale Toto, che, dopo essersi spartito in regime oligopolistico le lucrose rotte nazionali con Alitalia, pensava forse di essere un novello Davide che sconfigge il favorito Golia.
La storia, in un paese normale, finirebbe qui, eppure le pagine dei quotidiani, nessuno escluso, sono state piene, e ancora lo sono, delle ragioni, più spesso della vera e propria disinformazione, dei vinti e dei minacciosi proclami di guerra che il popolo del Nord pronuncerebbero contro la minacciata annessione alla Francia della disastrata compagnia di bandiera italiana, di veti confederali non basati su sante questioni come le ricadute occupazionali ma sull’onta di non essere stati consultati sulle scelte strategiche, strilli e proclami che, azzardo, non muoveranno di un centimetro la distanza siderale esistente tra la proposta del costruttore marchigiano sponsorizzato da passere e quella avanzata con una certa sobrietà, ma altrettanta credibilità, dai francesi di Air France.
E’ molto triste, ma pare proprio che, anche dopo l’estremamente istruttiva vicenda vissuta ai tempi della crisi e del rischiato fallimento della Fiat, un evento quasi auspicato dall’allora premier Berlusconi, una crisi che, al di là della montagna di parole, non vide farsi avanti nessuno dei capitani coraggiosi dell’imprenditoria italiane e fu necessario l’intervento, per fortuna temporaneo e lucroso, delle banche, nessuno ricordi che esiste solo un modo per vincere una gara ed è dato dall’avanzare un’offerta che, analizzata - come è doveroso - da tutti gli angoli visuali, superi quella concorrente, anche se di poco.
Così come è utile ricordare che per i principali protagonisti di questa vicenda, e cioè i circa ventimila dipendenti di Alitalia e Az Servizi, quello che conta sono le garanzie di breve e medio periodo, molto più che l’italianità o meno dell’offerta che, soprattutto nello scigurato caso di perdita del posto di lavoro, rappresenterebbe una ben misera consolazione.
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