Tanto tuonò che piovve! L’annuncio congiunto delle tre principali banche centrali del mondo occidentale, più qualche gregaria a supporto, un annuncio volto a rassicurare le banche che non si sarebbe badato a spese per assicurare la liquidità necessaria al mercato interbancario che segnalava tensioni estreme e strozzature, ben segnalate dai tassi del momento ed, ancor più, da quelli futuri attorno alla cruciale scadenza di fine anno, ha iniziato da ieri (oggi in termini di valuta) a trovare un riscontro nella realtà in dimensioni certamente al di sopra delle più ottimistiche aspettative.
Sul piano strettamente quantitativo, la Banca Centrale Europea, senza distinzioni stavolta tra templari e moderati, ha finanziato le banche richiedenti ad un tasso che non doveva superare tassativamente il 4,21 per cento per 348,6 miliardi di euro (pari alla cifra tonda di 500 miliardi di dollari), con scadenza a 16 giorni (guarda caso, una data che si pone oltre il fine anno), mediante una pronti termine che verrà quasi certamente rinnovata per un periodo pari o superiore a quello iniziale.
L’operazione della BCE è stata prontamente affiancata dall’ennesima operazione da 20 miliardi di dollari effettuata dalla Federal Reserve, mentre, nel frattempo, la Bank of England ha immesso liquidità in quantità imprecisata sul mercato e vi ha aggiunto un ennesima, quanto non necessaria né illuminante, dichiarazione del solito Marvin King, forse prodigo di parole perché teme, come il suo collega a capo della FSE, di essere di fatto esautorato dal Cancelliere dello Scacchiere che intende accentrare su di sé tutti i poteri nelle situazioni di emergenza che dovessero presentarsi nel prossimo futuro nel sistema bancario britannico.
La vera novità, oltre che dalle dimensioni monstre delle operazioni sul mercato, sta nel fatto che si apprende che, almeno con riferimento alla Federal Reserve, sono ormai saltati tutti i paletti sulla selezione dei titoli che le banche statunitensi offrono in garanzia per ottenere la liquidità, anche perché non sono mancate battutacce tra gli operatori, quando si è appreso che l’unico requisito richiesto è che si tratti di titoli dotati di quella tripla A che, almeno sino a poco tempo fa, le società di rating non negavano a nessuno, soprattutto se alla valutazione si accompagnava la salata parcella per l’attività di consulenza offerta da un’apposita branca di attività della stessa società di rating.
Al premio all’azzardo morale elargito a piene mani da Bernanke e compagni via tassi, si aggiunge ora la trasformazione senza precedenti della banca centrale statunitense in una sorta di discarica per titoli che nessuno vorrebbe nemmeno a 20 su cento di valore e, invece, bellamente accolti con valutazioni che si aggirano, sempre secondo i bene informati, intorno ad un ragguardevole 80 per cento, e chissà che la banca Centrale Europea, di fronte ad un’esposizione delle banche europee che, secondo il solitamente ben informato Carlo De Benedetti, si aggira intorno ai 340 miliardi di euro (poco meno di 500 miliardi di dollari) e la Bank of England dell’intrepido King non debbano apprestarsi a fare altrettanto o forse, nella riservatezza delle procedure delle aste in corso, non lo stiano già in qualche modo e abbondantemente facendo.
Per tutto quello che ho appreso in queste settimane sulla grande capacità previsiva degli uomini e delle donne di Goldman Sachs (quelli che, prima dell’assunzione, possono essere sottoposti anche a cento colloqui), non posso unirmi al coro di coloro che si stanno meravigliando per un misero incremento del 2 per cento nei profitti del quarto trimestre del colosso creditizio statunitense, anche perché mi aspettavo francamente molto di più da un’istituzione che ha precorso il mercato di almeno tre trimestri, alleggerendosi della spazzatura rappresentata dai titoli della finanza strutturata e a buon prezzo per molte decine di miliardi di dollari e che altri miliardi ha guadagnato comprando a prezzi di realizzo enormi ammontari di titoli quando nessuno più li voleva.
Certo, per una delle pochissime banche globali a marciare in controtendenza e che ha appena annunciato la costituzione del più grande hedge fund del mondo, con una dotazione di capitale di 10 miliardi di dollari, l’accoglienza che la borsa ha riservato al trionfale annuncio è stata addirittura negativa, anche perché le contemporanee notizie in arrivo da Francoforte, Londra e New York stanno confermando ai più che non solo la crisi non si è esaurita, ma che certamente non siamo neanche in prossimità di quel punto di estremo pericolo rappresentato dalla metà del guado.
Come gli operatori, anche i banchieri centrali devono essere rimasti alquanto delusi da una discesa dei tassi, dopo tanta alluvione di liquidità, che definire modesta è usare un eufemismo degno di miglior causa, anche perché, a parte l’immobilità della parte più lunga della curva, anche per le scadenze sensibili come il mese ed i tre mesi non si registrano riduzioni in qualche modo proporzionali allo sforzo realmente eccezionale compiuto dai tre non secondari prestatori di ultima istanza.
D’altro canto, non è che le notizie provenienti dal settore immobiliare statunitense siano state del genere che risolleva gli animi un po’ intimorati di coloro che devono prendere decisioni a valenza economica, con l’ennesimo calo delle nuove case, che si pongono al livello più baso degli ultimi sedici anni e che, con riferimento alle ville e villette che rappresentano il coronamento della American Dream, non giungono, come dato annualizzato, alle 900 mila unità.
Per l’ennesima volta in poche settimane, il quotidiano Libero Economia, vede il potente amministratore delegato di Intesa San Paolo, Corrado Passera, in uscita dal gruppo che ha così faticosamente contribuito a realizzare, mentre non vi è quotidiano che non si sia dilettato al gioco dell’anno e che consiste nel valutare l’affezione degli azionisti italiani e stranieri di Unicredit Group nei confronti di un personaggio sino a poco tempo fa indiscusso quale è Alessandro Profumo, che anche l’altro ieri non ha esitato a lodare sé stesso e criticare l’operato di tutti gli altri.
Augurando ai due ex golden boys ogni bene nell’attuale e nelle future collocazioni, credo che non sia da sottovalutare la richiesta perentoria che il principe saudita ed allora primo azionista di Citigroup fece a Weill pochi giorni prima del licenziamento del non rimpianto Chuck Prince III, quando disse: è giunta l’ora che a capo delle banche tornino i banchieri.
1 commento:
Un risultato le Banche Centrali, lo ottengono a parte il lieve calo dei tassi interbancari di oggi : fare scorrere oceani di inchiostro per rileggere ,per l'ennesima volta, il loro ruolo , quello dei Governi e quello di tutte le Istituzioni Finanziarie internazionali (i famosi Templari dei tuoi articoli) . Non è la prima volta che banche centrali si trovano in imbarazzo di fronte a situazioni limite e non ci dobbiamo lasciarci impressionare dalle cifre : 1000 Milardi di dollari di perdite sui sub-prime sono "peanuts" per una economia forte come quella americana . Adesso si torna a parlare di Keynesismo e di ritorno allo statalismo. In attesa di ripristinare il Gold Standard qualcuno ha anche riesumato da quanche cassa da morto il pericolo della mitica "Stagflazione" !!
Quest'ultima discutibile ipotesi mi fa pensare, come insegna la "contarian psycology" , che non siamo lontani dalla fine della crisi .
Mi dispiace, ma anche questa volta il capitalismo sopravviverà : basta chiedere
agli Arabi , ai Cinesi ed ai Russi che si stanno accattando pezzi di banche ed immobili americani a prezzi di saldo e che naturalmente vorranno a tutti i costi (anzi a tutti i ricavi) che la festa continui .
Posta un commento