Mentre negli Stati Uniti è in corso una forte accelerazione della miriade di progetti volti a trovare una soluzione alla crisi finanziaria, con il coinvolgimento diretto del Governo, della banca centrale, delle principali banche e anche degli opinion makers, lascia letteralmente stupefatti la dichiarazione del Commissario europeo alla concorrenza, l’energica Neelie Kroes, che, a margine di un convegno, ha reso noto che esistono due scottanti dossier bancari che preoccupano due stati membri e dei quali sarà chiamata ad occuparsi la Commissione UE, ovviamente in stretto contatto con la Banca Centrale Europea, a proposito della quale la Kroes ha detto che tutto ciò che farà sarà ben fatto.
Non stupisce l’approccio fideistico verso l’istituto di Francoforte da parte della commissaria di un paese che, assieme alla Germania, rappresenta il nocciolo duro della posizione templare nell’ambito della BCE, quello che lascia, invece, stupefatti è che la stessa, apparentemente incurante delle conseguenze, ha lanciato in un mercato già sull’orlo di una crisi di nervi, come è attualmente il mercato interbancario europeo, un allarme non circostanziato che fa il paio soltanto con la previsione fatta in agosto da Standard and Poor’s sul fallimento a breve di un non meglio specificato grande hedge fund statunitense, fallimento che non si è poi verificato.
Ovviamente, tutti i giornali si sono precipitati ad individuare nella ormai screditatissima Northern Rock e nella disastrata IKB tedesca le due banche oggetto della esternazione della Kroes, ma un’analisi più letterale della dichiarazione della commissaria fa pensare che il riferimento sia piuttosto a due banche di maggiori dimensioni ed entrambe collocate nell’area dell’euro, d’altra parte, basterà vedere la reazione dei tassi euribor e delle azioni delle maggiori banche europee per avere qualche indizio su quale delle due tesi abbia più consistenza.
Venendo per un attimo alla piazza statunitense, giungono segnali preoccupanti da Moody’s, una delle due società di rating sul banco degli imputati negli USA e in Europa per le valutazioni generose date ai titoli della finanza strutturata e alle entità loro emittenti (valutazioni in larga misura viziate dall’evidente conflitto di interessi che caratterizza sia Moody’s che S&P), che, diventata all’improvviso molto rigorosa, ha annunciato una raffica di downgrade per i titoli di sei dei sette SIV riconducibili a Citigroup, entità che, anche se hanno ridotto i loro attivi da 95 a 66 miliardi di dollari, costituiscono ancora una robusta spina nel fianco di Citigroup che, sia detto per inciso, ancora non ha trovato un banchiere disponibile ad accollarsi la pesante eredità lasciata dal non rimpianto Chuck Prince III.
In un accurato editoriale apparso su Il Sole 24 Ore, Marco Onado dà per già realizzato il MLEC, il fondo interbancario di salvataggio fortemente voluto dal ministro del Tesoro USA e partecipato da Bank of America, Citigroup e J.P. Morgan-Chase che in realtà è ancora di là da venire, per mettere in guardia dai guasti che potrebbero venire da un meccanismo che in realtà serve solo a far guadagnare tempo alle banche, consentendo loro di manovrare i prezzi di acquisto dei titoli posseduti direttamente e indirettamente e che rinvia, in realtà, nel tempo quella necessaria individuazione di meccanismi di vigilanza più trasparenti ed efficaci che lo stesso Onado vede come l’unico aspetto positivo derivante dal discusso fondo.
E’ comunque un po’ difficile derubricare le dichiarazioni della Kroes ad un’uscita infelice di un commissario che gioca fuori sede, anche perché la prima risposta alle sue dichiarazioni è venuta già ieri dall’ulteriore salita dei tassi sul mercato interbancario dell’area euro, con l’euribor ad un mese e a tre mesi ad un passo da quota 4,90 per cento e previsioni per uno scavalco di anno, nonostante l’opportuna estensione da parte della BCE dell’operazione di finanziamento a tre mesi ai primi giorni del 2008, a livelli elevatissimi per le scadenze overnight.
D’altra parte, se le maggiori banche europee già non si fidavano l’una dell’altra, certamente il possibile concretizzarsi del peggior incubo che inquieta i sonni dei banchieri dal 9 agosto, il dissesto cioè di uno o più istituti di credito europei di grandi dimensioni, è sembrato molto più concreto dopo le parole di Neelie e i moniti subito dopo giunti da Jean Claude Trichet e dal direttore generale della Banca d’Italia, Fabrizio Saccomanni.
Anche in una situazione così tesa a livello mondiale, non accenna ad attenuarsi la guerra per banche in corso in Italia, un conflitto che vede contrapposti anche esponenti della stessa scuderia, come accade in Unicredit Group con le divergenze strategiche tra Profumo e Cesare Geronzi, ma ancor più quella in corso tra il gruppo guidato da Profumo e quello capitanato da Passera, che proprio ieri ha compiuto l’ennesimo sgarbo nei confronti dell’ex collega di McKinsey, assumendo tal Marco Verzieri, ex responsabile delle relazioni sindacali di Unicredit ed ora capo delle risorse umane di Intesa-San Paolo.
Bene ha fatto, comunque, Alessandro Profumo ad ascoltare il suggerimento dell’anziano banchiere romano sulla necessità del mantenimento della quota nella Rizzoli-Corriere della Sera, anche perché, con l’aria che ormai inequivocabilmente tira, un po’ di buona stampa certamente non nuoce.
Saremmo, tuttavia, tutti più contenti se, invece di combattere queste sanguinose ma spesso inutili schermaglie, i nostri banchieri, prendendo l’esempio da quanto sta finalmente accadendo al di là dell’Atlantico, si dedicassero maggiormente a questioni quali l’effettiva portabilità dei mutui, la rinegoziazione degli stessi dal tasso variabile a quello fisso, l’eliminazione degli oneri accessori quali le assicurazioni para obbligatorie su mutui e prestiti personali, un sano mea culpa su quella vera e propria orgia di derivati dati spesso a chi non ne sentiva particolare bisogno e, ultimo ma non certo per ultimo, quel rispetto effettivo delle prescrizioni della MIFID senza aggrapparsi come naufraghi a proroghe vere o molto spesso solo presunte.
Non stupisce l’approccio fideistico verso l’istituto di Francoforte da parte della commissaria di un paese che, assieme alla Germania, rappresenta il nocciolo duro della posizione templare nell’ambito della BCE, quello che lascia, invece, stupefatti è che la stessa, apparentemente incurante delle conseguenze, ha lanciato in un mercato già sull’orlo di una crisi di nervi, come è attualmente il mercato interbancario europeo, un allarme non circostanziato che fa il paio soltanto con la previsione fatta in agosto da Standard and Poor’s sul fallimento a breve di un non meglio specificato grande hedge fund statunitense, fallimento che non si è poi verificato.
Ovviamente, tutti i giornali si sono precipitati ad individuare nella ormai screditatissima Northern Rock e nella disastrata IKB tedesca le due banche oggetto della esternazione della Kroes, ma un’analisi più letterale della dichiarazione della commissaria fa pensare che il riferimento sia piuttosto a due banche di maggiori dimensioni ed entrambe collocate nell’area dell’euro, d’altra parte, basterà vedere la reazione dei tassi euribor e delle azioni delle maggiori banche europee per avere qualche indizio su quale delle due tesi abbia più consistenza.
Venendo per un attimo alla piazza statunitense, giungono segnali preoccupanti da Moody’s, una delle due società di rating sul banco degli imputati negli USA e in Europa per le valutazioni generose date ai titoli della finanza strutturata e alle entità loro emittenti (valutazioni in larga misura viziate dall’evidente conflitto di interessi che caratterizza sia Moody’s che S&P), che, diventata all’improvviso molto rigorosa, ha annunciato una raffica di downgrade per i titoli di sei dei sette SIV riconducibili a Citigroup, entità che, anche se hanno ridotto i loro attivi da 95 a 66 miliardi di dollari, costituiscono ancora una robusta spina nel fianco di Citigroup che, sia detto per inciso, ancora non ha trovato un banchiere disponibile ad accollarsi la pesante eredità lasciata dal non rimpianto Chuck Prince III.
In un accurato editoriale apparso su Il Sole 24 Ore, Marco Onado dà per già realizzato il MLEC, il fondo interbancario di salvataggio fortemente voluto dal ministro del Tesoro USA e partecipato da Bank of America, Citigroup e J.P. Morgan-Chase che in realtà è ancora di là da venire, per mettere in guardia dai guasti che potrebbero venire da un meccanismo che in realtà serve solo a far guadagnare tempo alle banche, consentendo loro di manovrare i prezzi di acquisto dei titoli posseduti direttamente e indirettamente e che rinvia, in realtà, nel tempo quella necessaria individuazione di meccanismi di vigilanza più trasparenti ed efficaci che lo stesso Onado vede come l’unico aspetto positivo derivante dal discusso fondo.
E’ comunque un po’ difficile derubricare le dichiarazioni della Kroes ad un’uscita infelice di un commissario che gioca fuori sede, anche perché la prima risposta alle sue dichiarazioni è venuta già ieri dall’ulteriore salita dei tassi sul mercato interbancario dell’area euro, con l’euribor ad un mese e a tre mesi ad un passo da quota 4,90 per cento e previsioni per uno scavalco di anno, nonostante l’opportuna estensione da parte della BCE dell’operazione di finanziamento a tre mesi ai primi giorni del 2008, a livelli elevatissimi per le scadenze overnight.
D’altra parte, se le maggiori banche europee già non si fidavano l’una dell’altra, certamente il possibile concretizzarsi del peggior incubo che inquieta i sonni dei banchieri dal 9 agosto, il dissesto cioè di uno o più istituti di credito europei di grandi dimensioni, è sembrato molto più concreto dopo le parole di Neelie e i moniti subito dopo giunti da Jean Claude Trichet e dal direttore generale della Banca d’Italia, Fabrizio Saccomanni.
Anche in una situazione così tesa a livello mondiale, non accenna ad attenuarsi la guerra per banche in corso in Italia, un conflitto che vede contrapposti anche esponenti della stessa scuderia, come accade in Unicredit Group con le divergenze strategiche tra Profumo e Cesare Geronzi, ma ancor più quella in corso tra il gruppo guidato da Profumo e quello capitanato da Passera, che proprio ieri ha compiuto l’ennesimo sgarbo nei confronti dell’ex collega di McKinsey, assumendo tal Marco Verzieri, ex responsabile delle relazioni sindacali di Unicredit ed ora capo delle risorse umane di Intesa-San Paolo.
Bene ha fatto, comunque, Alessandro Profumo ad ascoltare il suggerimento dell’anziano banchiere romano sulla necessità del mantenimento della quota nella Rizzoli-Corriere della Sera, anche perché, con l’aria che ormai inequivocabilmente tira, un po’ di buona stampa certamente non nuoce.
Saremmo, tuttavia, tutti più contenti se, invece di combattere queste sanguinose ma spesso inutili schermaglie, i nostri banchieri, prendendo l’esempio da quanto sta finalmente accadendo al di là dell’Atlantico, si dedicassero maggiormente a questioni quali l’effettiva portabilità dei mutui, la rinegoziazione degli stessi dal tasso variabile a quello fisso, l’eliminazione degli oneri accessori quali le assicurazioni para obbligatorie su mutui e prestiti personali, un sano mea culpa su quella vera e propria orgia di derivati dati spesso a chi non ne sentiva particolare bisogno e, ultimo ma non certo per ultimo, quel rispetto effettivo delle prescrizioni della MIFID senza aggrapparsi come naufraghi a proroghe vere o molto spesso solo presunte.
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