Come avevo alquanto facilmente previsto qualche giorno fa, la decisione della Hong Kong Shanghai Banking Corp prima e quella, un po' più dolorosa del nuovo amministratore di Citigroup poi di immettere nei conti aziendali quel che resta dei SIV di rispettiva proprietà segnava di fatto il de profundis per la grande pensata del ministro del Tesoro USA, Henry Paulson, quel grande fondo di salvataggio, denominato MLEC, che nelle intenzioni dell'ex numero uno di Goldman Sachs avrebbe dovuto rappresentare un elemento calmieratore del disastrato ed immenso comparto dei titoli della finanza strutturata, anche se dai plausi e le fanfare iniziali del suddetto fondo si erano perse le tracce.
Si è, invece, appreso solo venerdì che del SIV dei SIV non se ne farà più nulla, dopo l'annuncio del disinteresse di Citigroup e di altri probabili partecipanti e la riduzione della disponibilità iniziale a soli 20 miliardi di dollari in luogo dei 100 previsti ai tempi dell'annuncio trionfale in settembre, ma quello che veramente colpisce è il funambolismo di una collaboratrice di Paulson che ha avuto il coraggio di dire che, in fondo, la mossa del ministro è stata comunque geniale in quanto ha prodotto lo stesso quell'effetto anti panico che si proponeva e che questo è avvenuto senza neanche prendersi la briga di mettere in piedi quello che sin dall'inizio appariva come un baraccone realizzato con l'unico scopo di rendere meno trasparenti i prezzi di trasferimento di quella che non si sa se definire zavorra o spazzatura.
A parte il fatto che a me tutto questo fa venire in mente la famosa frase che diceva che se mia nonna avesse avuto le ruote sarebbe stato un tram, vorrei aggiungere che pochi avvenimenti di questa crisi finanziaria hanno panicato il mercato come il travagliato parto di quella riunione domenicale in settembre presso gli austeri locali del ministero del Tesoro statunitense, con due degli più stretti collaboratori di Paulson a tenere a bada una trentina di banchieri che erano giunti alla riunione convinti che ci sarebbe stato l'annuncio del fallimento di qualche banca o qualche altra catastrofe del genere, ma che, certamente, non sono stati sollevati dalle altrettanto inquietanti implicazioni del piano che era stato loro presentato.
Quando sarà possibile passare dala cronaca alla storia di questa tempesta perfetta, il capitolo dedicato alla adeguatezza o meno delle mosse dei ministri e dei governatori delle banche centrali assumerà certamente un ruolo di rilievo nel corpo dell'opera, anche se credo che, anche a partire dal day by day che sto cercando di descrivere in questi mesi, i lettori un'idea delle contraddizioni e del pressapochismo di questi presunti giganti abituati al più a navigare nelle acque tranquille se la saranno già fatta.
Vi è, tuttavia, un punto certo e fermo sul quale non mi stancherò di soffermarmi di quando in quando ed è rappresentato dalla aperta contraddizione tra le parabole sull'inflessibile fermezza dei governi e dei banchieri centrali nei confronti di quello che viene definito azzardo morale, con l'inevitabile corollario sulla determinazione a non fare nulla per favorire gli speculatori e i comportamenti reali di Bernanke e soci, così come quelli di Paulson e compagni, comportamenti che anche i più timidi e conservatori tra gli osservatori, Nobel per l'economia inclusi, hanno bollato come un aperto soccorso ai principali responsabili del disastro nel quale siamo immersi fino al collo.
Anche se un esame per quanto sommario e superficiale avrebbe consentito a chiunque, compreso il consiglio di amministrazione di Alitalia, di comprendere he tra l'offerta di Air France e quella di Air One non vi era praticamente confronto (e credo che l'amministratore delegato di Air France, Spinetta, sia stato molto gentile nel dire che il loro era un piano industriale e quello dei concorrenti un piano bancario), eppure le pagine dei quotidiani di oggi, nessuno escluso, sono piene delle ragioni dei vinti e di minacciosi proclami di guerra che i popoli del Nord Italia pronuncerebbero, con l'avallo dei massimi leaders delle tre confederazioni sindacali, contro la minacciata annessione alla Francia della disastrata compagnia di bandiera italiana, strilli e proclami che, azzardo, non muoveranno di un centimetro la distanza abissale esistente tra la proposta del costruttore marchigiano sponsorizzato da Passera e quella avanzata con una certa sobrietà ma altrettanta credibilità dai francesi.
1 commento:
Il testo è illeggibile, essendo compresso a dimensioni quantiche.
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