Quello che sta accadendo nei mercati azionari dopo il fallimento di Lehman Brothers, il mega finanziamento da 85 miliardi di dollari erogato dalla Federal Reserve in favore del colosso assicurativo AIG, la ricerca affannosa di qualcuno che voglia acquistare la più grande cassa di risparmio statunitense; Washington Mutual non è qualcosa di imprevedibile, alla luce del forte grado di interrelazione esistente tra le varie entità protagoniste del mercato finanziario globale e dagli effetti micidiali derivanti dalla montagna di Credit Default Swaps, un mercato da 62 mila miliardi di dollari che si aggiungono a quelle svariate miliardi di dollari di titoli della finanza strutturata che, è il caso di ricordarlo, nessuno vuole più.
In questi tredici mesi, ho ripetuto più volte che per avere un’idea dell’intensità raggiunta dalla tempesta perfetta era molto più utile osservare l’assoluta impermeabilità del mercato della liquidità interbancaria alle sempre più massicce iniezioni di liquidità effettuate da banche centrali sempre più sull’orlo di una crisi di nervi, impermeabilità ben testimoniata da spreads sui tassi di riferimento assolutamente anomali, che dall’andamento degli indici delle borse di tutto il mondo che, per lunghissimo tempo, sono state come il display di una slot machine del tutto truccata da avidi croupier.
Questo è stato particolarmente vero nei primi mesi successivi a quel 9 agosto che, per giudizio pressoché unanime, è considerato il momento in cui tutto ha avuto inizio, anche perché è difficile dimenticare che i tre principali indici azionari hanno avuto il loro momento di gloria nell’ottobre del 2007, spinti dalle rassicurazioni sparse a piene mani dall’ineffabile Henry Paulson, dal panic cutting che ha caratterizzato Bernspan ed i suoi complici assisi sui loro scranni al Federal Open Market Committee, nonché ai commenti di un vero esercito di analisti e giornalisti del tutto embedded alle logiche di questo capitalismo finanziario che aveva da lungo tempo adottato un sistema che già allora somigliava sempre più ad un immenso casinò a cielo aperto basato sul principio che, alla fine, deve essere sempre il banco a vincere!
Al punto a cui siamo, purtroppo, giunti, la relativa indifferenza degli indici principali azionari rispetto al meltdown finanziario sempre più virulentemente in corso non poteva certo continuare e le performance che possiamo osservare nelle ultime sedute a New York, come in Europa, in Asia come su quell’altro casinò rappresentato dalla borsa, si fa ovviamente per dire, di Mosca, stanno lì a testimoniare il riallineamento progressivo delle quotazioni azionarie a quanto sta avvenendo nel mercato finanziario globale e, alquanto inevitabilmente, anche in quella che un tempo veniva definita l’economia reale.
Già, perché mentre le due superstiti Investment Banks registrano tonfi in borsa che testimoniano efficacemente le preoccupazioni crescenti degli analisti e degli operatori per la loro capacità di resistere agli alti marosi della tempesta perfetta, non è un mistero per nessuno che a fallire potrebbe anche essere un colosso automobilistico a stelle e strisce, se non due, non solo per il crollo oramai strutturale delle vendite dei loro prodotti, ma anche perché da lungo tempo General Motors, Ford e compagnia cantante sono diventate anche delle immense entità finanziarie impegnate nel finanziamento degli acquisti dei loro modelli, mediante i loro bracci armati finanziari che, come è accaduto nel settore immobiliare, non guardavano troppo attentamente ai requisiti dei potenziali compratori, tanto i finanziamenti venivano quasi sempre venduti in giornata a qualcuno che li impacchettava e li inseriva in qualche titolo complesso elaborato dall’apprendista stregone di turno della fabbrica prodotto di una Investment Banks o di una banca più o meno globale, non necessariamente statunitense.
Ma i dubbi crescenti dei sempre più spaventati analisti ed operatori sulla capacità di Goldman Sachs e Morgan Stanley di sopravvivere derivano da quell’unicità di modello eretto a sistema che caratterizza, in tre casi almeno dobbiamo dire caratterizzava, il modus operandi di queste entità che hanno subito negli ultimi decenni una sorta di mutazione genetica, a sua volta indotta dalla deregulation spinta coeva della reaganomics, della globalizzazione e della finanziarizzazione, una mutazione favorita da un uso veramente selvaggio delle leva finanziaria che, se ha un senso per un hedge fund, non dovrebbe avere cittadinanza per un’entità creditizia che dovrebbe sempre tenere a mente quei sani principi prudenziali che venivano però visti dai top bankers e, purtroppo, anche dal predecessore di Bernspan, Alan Greenspan, come Keynes vedeva il metallo aureo: veri e propri relitti barbarici!
Simul stabunt, simul cadent, si direbbe in una lingua morta che è pur stato l’idioma di uno dei più grandi imperi che la Storia abbia registrato, ma il problema è rappresentato dal fatto che, lasciate semplicemente fallire, queste entità così misteriose ed onnipervadenti provocano danni a catena difficilmente misurabili ex ante, come hanno già avuto amaramente di constatare decine di milioni di risparmiatori/investitori sparsi nei cinque continenti, per non parlare degli stati sovrani, quali a solo titolo di esempio, la Repubblica italiana che ha scoperto che si è improvvisamente aperto un buco da un miliardi di dollari derivante direttamente dalle conseguenze derivanti dal venir meno di una controparte quale era Lehman Brothers, mentre le conseguenze per banche e compagnie di assicurazioni sono già state messe in bella evidenza sul tavolo dei loro presidenti ed amministratori delegati, anche se pare che i fogli siano divenuti in breve tempo illeggibili a causa delle spoiose lacrime versate dagli interessati.
Per chi, come me, è consapevole sin dal settembre del 2007 che questa non era assolutamente una crisi finanziaria come le altre, quanto sta tragicamente avvenendo, e purtroppo anche quello che alquanto inevitabilmente avverrà, è stato molto difficile cercare di trasmettere, in pillole, questa consapevolezza ai miei lettori (non posso più dire pochi, alla luce dei numeri quotidianamente forniti da Google Analytics e che registrano negli ultimi giorni otre 600 visitatori quotidiani da 39 paesi del mondo per oltre mille pagine visitate), anche perché era quasi impossibile dire da subito che non vi era all’orizzonte una soluzione praticabile che mettesse una pezza agli errori compiuti per decenni dai principali attori dell’immenso mercato finanziario globale, pratiche davvero scellerate che avevano illuso centinaia di milioni di investitori che fosse finalmente giunta l’ora della crescita infinita e senza crisi.
Pongo ancora una volta la domanda che è diventata oramai un mantra: chi ha le risorse per disinnescare la bomba rappresentata dai titoli della finanza strutturata, quali controparti bancarie ed assicurative sono in grado di reggere al pagamento dei Credit Default Swaps, quali banche sono ancora in grado di contemporaneamente tornare ad adeguati livelli di capitalizzazione e soddisfare, al contempo, le crescenti richieste finanziarie dei loro clienti?
Ricordo che il video del mio intervento al convegno della UIL sulla crisi finanziaria è presente nella sezione video del sito dell’associazione Free Lance International Press all’indirizzo http://www.flipnews.org/ mentre gli atti del convegno sono esportabili dal sito http://www.uil.it/ nella sezione del dipartimento di politica economica.
In questi tredici mesi, ho ripetuto più volte che per avere un’idea dell’intensità raggiunta dalla tempesta perfetta era molto più utile osservare l’assoluta impermeabilità del mercato della liquidità interbancaria alle sempre più massicce iniezioni di liquidità effettuate da banche centrali sempre più sull’orlo di una crisi di nervi, impermeabilità ben testimoniata da spreads sui tassi di riferimento assolutamente anomali, che dall’andamento degli indici delle borse di tutto il mondo che, per lunghissimo tempo, sono state come il display di una slot machine del tutto truccata da avidi croupier.
Questo è stato particolarmente vero nei primi mesi successivi a quel 9 agosto che, per giudizio pressoché unanime, è considerato il momento in cui tutto ha avuto inizio, anche perché è difficile dimenticare che i tre principali indici azionari hanno avuto il loro momento di gloria nell’ottobre del 2007, spinti dalle rassicurazioni sparse a piene mani dall’ineffabile Henry Paulson, dal panic cutting che ha caratterizzato Bernspan ed i suoi complici assisi sui loro scranni al Federal Open Market Committee, nonché ai commenti di un vero esercito di analisti e giornalisti del tutto embedded alle logiche di questo capitalismo finanziario che aveva da lungo tempo adottato un sistema che già allora somigliava sempre più ad un immenso casinò a cielo aperto basato sul principio che, alla fine, deve essere sempre il banco a vincere!
Al punto a cui siamo, purtroppo, giunti, la relativa indifferenza degli indici principali azionari rispetto al meltdown finanziario sempre più virulentemente in corso non poteva certo continuare e le performance che possiamo osservare nelle ultime sedute a New York, come in Europa, in Asia come su quell’altro casinò rappresentato dalla borsa, si fa ovviamente per dire, di Mosca, stanno lì a testimoniare il riallineamento progressivo delle quotazioni azionarie a quanto sta avvenendo nel mercato finanziario globale e, alquanto inevitabilmente, anche in quella che un tempo veniva definita l’economia reale.
Già, perché mentre le due superstiti Investment Banks registrano tonfi in borsa che testimoniano efficacemente le preoccupazioni crescenti degli analisti e degli operatori per la loro capacità di resistere agli alti marosi della tempesta perfetta, non è un mistero per nessuno che a fallire potrebbe anche essere un colosso automobilistico a stelle e strisce, se non due, non solo per il crollo oramai strutturale delle vendite dei loro prodotti, ma anche perché da lungo tempo General Motors, Ford e compagnia cantante sono diventate anche delle immense entità finanziarie impegnate nel finanziamento degli acquisti dei loro modelli, mediante i loro bracci armati finanziari che, come è accaduto nel settore immobiliare, non guardavano troppo attentamente ai requisiti dei potenziali compratori, tanto i finanziamenti venivano quasi sempre venduti in giornata a qualcuno che li impacchettava e li inseriva in qualche titolo complesso elaborato dall’apprendista stregone di turno della fabbrica prodotto di una Investment Banks o di una banca più o meno globale, non necessariamente statunitense.
Ma i dubbi crescenti dei sempre più spaventati analisti ed operatori sulla capacità di Goldman Sachs e Morgan Stanley di sopravvivere derivano da quell’unicità di modello eretto a sistema che caratterizza, in tre casi almeno dobbiamo dire caratterizzava, il modus operandi di queste entità che hanno subito negli ultimi decenni una sorta di mutazione genetica, a sua volta indotta dalla deregulation spinta coeva della reaganomics, della globalizzazione e della finanziarizzazione, una mutazione favorita da un uso veramente selvaggio delle leva finanziaria che, se ha un senso per un hedge fund, non dovrebbe avere cittadinanza per un’entità creditizia che dovrebbe sempre tenere a mente quei sani principi prudenziali che venivano però visti dai top bankers e, purtroppo, anche dal predecessore di Bernspan, Alan Greenspan, come Keynes vedeva il metallo aureo: veri e propri relitti barbarici!
Simul stabunt, simul cadent, si direbbe in una lingua morta che è pur stato l’idioma di uno dei più grandi imperi che la Storia abbia registrato, ma il problema è rappresentato dal fatto che, lasciate semplicemente fallire, queste entità così misteriose ed onnipervadenti provocano danni a catena difficilmente misurabili ex ante, come hanno già avuto amaramente di constatare decine di milioni di risparmiatori/investitori sparsi nei cinque continenti, per non parlare degli stati sovrani, quali a solo titolo di esempio, la Repubblica italiana che ha scoperto che si è improvvisamente aperto un buco da un miliardi di dollari derivante direttamente dalle conseguenze derivanti dal venir meno di una controparte quale era Lehman Brothers, mentre le conseguenze per banche e compagnie di assicurazioni sono già state messe in bella evidenza sul tavolo dei loro presidenti ed amministratori delegati, anche se pare che i fogli siano divenuti in breve tempo illeggibili a causa delle spoiose lacrime versate dagli interessati.
Per chi, come me, è consapevole sin dal settembre del 2007 che questa non era assolutamente una crisi finanziaria come le altre, quanto sta tragicamente avvenendo, e purtroppo anche quello che alquanto inevitabilmente avverrà, è stato molto difficile cercare di trasmettere, in pillole, questa consapevolezza ai miei lettori (non posso più dire pochi, alla luce dei numeri quotidianamente forniti da Google Analytics e che registrano negli ultimi giorni otre 600 visitatori quotidiani da 39 paesi del mondo per oltre mille pagine visitate), anche perché era quasi impossibile dire da subito che non vi era all’orizzonte una soluzione praticabile che mettesse una pezza agli errori compiuti per decenni dai principali attori dell’immenso mercato finanziario globale, pratiche davvero scellerate che avevano illuso centinaia di milioni di investitori che fosse finalmente giunta l’ora della crescita infinita e senza crisi.
Pongo ancora una volta la domanda che è diventata oramai un mantra: chi ha le risorse per disinnescare la bomba rappresentata dai titoli della finanza strutturata, quali controparti bancarie ed assicurative sono in grado di reggere al pagamento dei Credit Default Swaps, quali banche sono ancora in grado di contemporaneamente tornare ad adeguati livelli di capitalizzazione e soddisfare, al contempo, le crescenti richieste finanziarie dei loro clienti?
Ricordo che il video del mio intervento al convegno della UIL sulla crisi finanziaria è presente nella sezione video del sito dell’associazione Free Lance International Press all’indirizzo http://www.flipnews.org/ mentre gli atti del convegno sono esportabili dal sito http://www.uil.it/ nella sezione del dipartimento di politica economica.