Mentre gli operatori, gli analisti, i commentatori più o meno embedded alle logiche del capitale finanziario si godevano il meritato riposo per il Labor Day, sono certo che un ristretto gruppo di persone si trovavano anche ieri inchiodati alle rispettive scrivanie ubicate nelle ampie stanze poste ai piani alti dei grattacieli che ospitano le sedi di alcune banche di investimento e banche più o meno globali, mentre anche l’inquilino della stanza principale del dicastero del Tesoro deve avere trascorso l’ennesimo week end di lavoro, come peraltro è abituato oramai a fare dal 9 agosto dell’anno scorso, quando, molto in anticipo sulla sua personale tabella di marcia, quelle quarantasei banche operanti sull’euribor smisero improvvisamente di fidarsi l’uno dell’altro, costringendo così la banca Centrale Europea prima e le altre banche centrali subito dopo ad inondare pressoché senza interruzioni il mercato interbancario di liquidità, senza con ciò conseguire il loro obiettivo, riportare, cioè, un accettabile grado di fiducia reciproca tra le diffidenti banche con sede al di qua ed al di là dell’Oceano Atlantico.
Approfitto anche io di questa pausa statunitense che ha costretto le borse del resto del mondo, a parte ovviamente il relativo tracollo che ha caratterizzato quelle asiatiche (che anticipavano forse le successive dimissioni dell’ennesimo primo ministro giapponese che potrebbero anche dare luogo alle ennesime elezioni anticipate che finiranno per non cambiare più di tanto), a far finta di avere uno straccio di orientamento per tutta la durata delle contrattazioni, finendo poi più o meno pari e patta, per dare una sbirciatina a quei dossier statunitensi che sembrano finalmente giunti a piena maturazione.
Non c’è, peraltro, che l’imbarazzo della scelta tra un nutrito numero di erti fascicoli intitolati al disastrato e tecnicamente fallito duo Fannie e Freddie, alle sorti della più piccola ma blasonata Lehman Brothers, a quelle di quella Merrill Lynch da un po’ di tempo affidata alle cure non del tutto disinteressate dell’ex Goldman Sachs, ex NYSE ed ex non che altro, John Thain, l’uomo che ha almeno avuto il coraggio di dire che il re è nudo, gettando nel più totale sconforto i suoi colleghi e il povero Bernspan che si ostina a valutare alla pari quegli stessi titoli della finanza strutturata che Thain si ritiene fortunato ad aver venduto, si fa per dire, a 22 centesimi per dollaro e si dice che preghi fervidamente ogni sera che non si realizzano le condizioni imposte dal compratore e che lo costringerebbero a riprendersi sul groppone quei 30 miliardi di dollari di cui spera proprio di essersi finalmente liberato.
Non voglio sottovalutare, facendo questa scelta, le ambasce che stanno vivendo le altre banche di investimento, di quelle più o meno globali, delle disastrate compagnie di assicurazione monoline e dei tanti altri protagonisti del mercato finanziario statunitense sopravvissute, almeno sinora, agli alti marosi della tempesta perfetta e, spero, anche alle raffiche micidiali del ciclone Gustav, né il vero e proprio grido di allarme lanciato dai vertici del Federal Deposit Insurance Corporation che si trova a gestire una lista di banche a rischio lunga 117 nomi che totalizzano depositi garantiti per 78 miliardi di dollari che la FDIC ha già fatto sapere di non avere, tutte questioni degne del massimo rispetto, ma la vita, come ognuno ben sa, è pur fatta di scelte e la mia è quella di occuparmi delle tre questioni che ho elencato di sopra!
Dopo tanti annunci da parte del presidente Bush, del ministro del Tesoro Henry Paulson, di entrambi i principali candidati alle presidenziali previste per il prossimo mese di novembre, di autorevoli esponenti del Congresso, si può proprio dire che ogni fine settimana prossimo venturo potrebbe essere quello dell’annuncio dell’intervento pubblico in favore di Fannie Mae, Freddie Mac e, forse, anche di quella Sallie Mae, da circa un anno affidata ad un manager che ha dato in passato prova di buona affidabilità.
Ma il problema non è solo rappresentato dalla tempistica del sempre più improbabile sostegno pubblico alle due entità già considerate semipubbliche, ma, piuttosto, quello della forma che tale intervento assumerà, in quanto credo sia pacifico escludere una pubblicizzazione vera e propria di Fannie e Freddie, non fosse altro che per il semplicissimo motivo che nessuno, ma proprio nessuno, se l’è mai sentita di proporre che gli oltre 5 mila miliardi di dollari di titoli denominati GSE possa essere aggregata al debito pubblico statunitense, che, come ho ricordato più volte, è soggetto ad un limite costituzionale che viene periodicamente rivisto dal Congresso e che è attualmente pari a 9 mila miliardi di dollari ed è quasi pienamente utilizzato.
Questo è certo, come pare lo sia il fabbisogno di 225 miliardi di dollari legato a scadenze di GSE per un pari importo previsto per il presente mese di settembre, un importo di ragguardevoli dimensioni ma non tale da non rendere possibili soluzioni più o meno eleganti, non fosse che la richiesta al mercato è indicativa delle micidiali dimensioni del turn over di titoli a lunga scadenza che caratterizza periodicamente queste due entità, un più che valido motivo per le esitazioni di Paulson nel passare dalle facili promesse ai più che problematici fatti.
A fronte dell’arduo busillis che l’ex numero uno di Goldman Sachs continua da settimane a girarsi tra le dita, le ambasce di Richard Flud, l’unico top manager rimasto legato al timone della sempre meno brillante Lehman Brothers, possono sembrare piccoli problemi, ma credo proprio che la sua recentissima idea di dividere in due la sua banca, folgorato sulla via di Wall Street dalla pensata del Chief Executive Officer di Intesa-San Paolo, Corrado Passera, in quel di Alitalia, presenti più problemi di quanti avrebbe l’ambizione di risolverne, in quanto non risulta chiaro ai più quale sia lo scopo legato alla creazione di una bad bank riempita come un uovo di titoli della finanza strutturata dal valore di realizzo poco o nullo, se non a rendere non del tutto definitiva la inevitabile e molto drastica svalutazione che, in un modo o nell’altro, andrà pure effettuata.
Mentre Flud passa le sue ben poche ore di sonno a sognare chimeriche sopravvenienze attive per miliardi di dollari (non si azzarda, nemmeno in sogno, ad ipotizzarne decine, sempre di miliardi) e a licenziare oltre mille dei suoi dipendenti sopravvissuti, John Thain si trova nella ben difficile situazione di dover escogitare un modo per non bruciare, con le perdite prossime venture, non solo un quarto, ma tutti profitti cumulati dai suoi predecessori nei 36 esercizi precedenti a quello 2008.
Ho lasciato per ultima la buona notizia proveniente dalla Germania, ove Allianz ha venduto Dresdner a Commerzbank per 9,6 miliardi carta contro carta, divenendo istantaneamente, e di gran lunga, il primo azionista del nuovo conglomerato, sferrando un calcio nei denti alle Assicurazioni Generali e rientrando nuovamente nel Board di Mediobanca, quale che finirà per essere il modello di governance che l’istituto di Piazzetta Cuccia finirà per adottare, il che la rende anche azionista di riferimento delle stesse Generali. E poi c’è pure chi dice che i tedeschi non hanno immaginazione e che non amano i colpi di teatro. Non resta che dire: tanto di cappello!
Ricordo che il video del mio intervento al convegno della UIL sulla crisi finanziaria è presente nella sezione video del sito dell’associazione Free Lance International Press all’indirizzo http://www.flipnews.org/ mentre gli atti del convegno sono esportabili dal sito http://www.uil.it/ nella sezione del dipartimento di politica economica.