domenica 7 settembre 2008

Speriamo che Fannie e Freddie non siano le nuove Enron e Worldcom!


Mentre scrivo questa puntata, non sono stati ancora forniti i dettagli del più volte annunciato take over delle tecnicamente fallite Fannie Mae e Freddie Mac da parte di non meglio precisate entità facenti capo al Governo federale degli Stati Uniti d’America, intervento previsto entro la giornata di oggi, stando alle dichiarazioni di un alto esponente del partito democratico e presidente della commissione bancaria della Camera dei Rappresentanti al termine di un colloquio con l’esausto ministro del Tesoro statunitense, Henry Paulson, svoltosi nella tarda serata di venerdì, al termine di quella che fors everrà ricordata come la peggiore ottava borsistica da quando, orami tredici mesi orsono, ha preso il via la tempesta perfetta tuttora virulentemente in corso.

E’ certo, invece, che è stata detta la parola fine agli affari della undicesima banca USA travolta dalla crisi finanziaria, il che mi rende noto che mi era sfuggita la notizia del fallimento della decima in ordine di apparizione sulla triste scena del default, ma state tranquilli, perché si tratta di un tipo di notizia a cui faremo ben presto il callo, in quanto, alla luce delle ristrette dimensione della coperta pubblica e delle capacità delle poche entità private ancora non in debito di ossigeno, saranno veramente molte le banche di piccole e medie dimensioni che verranno tranquillamente lasciate al loro triste destino, mentre ogni attenzione ed ogni sforzo verrà dedicato al financial bailout delle maggiori protagoniste del mercato finanziario statunitense, vera costola del mercato finanziario globale.

Non voglio fare sforzi di immaginazione per anticipare la tanto attesa soluzione alle problematiche vicende delle due colonne del molto ampio settore del mortgage statunitense, d’altro canto, questo è un problema affidato alle molto abili mani di un uomo che, certo non del tutto a caso, è stato per così lungo tempo il capo indiscusso della molto potente, ma ancor più preveggente Goldman Sachs, anche se ha avuto il buon gusto di farsi assistere in una sorta di due diligenze di Fannie e Freddie dagli esperti di Morgan Stanley, una delle Big Four dell’investment banking statunitense, quelle che erano le Big Five sino a quando l’orso di Stearns non ha richiesto le molto amorevoli cure di Paulson, Bernspan ed altri comprimari ed è stata offerta per il classico piatto di lenticchie, ma solo dopo un’iniezione di fondi pubblici per 30 miliardi di dollari con rischio a carico dei contribuenti, alla potente banca dei nipotini di John Pierpoint Morgan e di Duke Rockfeller, la J.P. Morgan-Chase, nata anni fa dalla fusione intervenuta tra la J.P. Morgan e la Chase Manhattan Bank.

Mi preoccupano molto di più le dichiarazioni di un’economista che ha molto frequentato le due gigantesche entità semipubbliche e che ha cercato per anni, ovviamente del tutto invano, di convincerle che non era proprio saggio pensare che i prezzi delle case di abitazione negli Stati Uniti d’America avrebbero continuato nella loro crescita impetuosa e che, forse, mettere nel conto anche una loro più o meno accentuata flessione, sarebbe stato opportuno, anche alla luce della ciclicità che continua a caratterizzare i comparti dell’economia, se non, come a volte accade e sta accadendo ora, l’economia presa nel suo complesso.

Ebbene, questo conoscitore delle cose interne a Fannie e Freddie ha sostenuto tranquillamente che, a suo avviso e sotto la sua esclusiva responsabilità, nelle due entità semipubbliche si sarebbe realizzata la stessa micidiale miscela di arroganza, incoscienza e disinvoltura nelle rappresentazioni dei fatti di gestione, che portarono a quel veramente micidiale uno-due per la credibilità dei bilanci delle grandi corporations statunitensi che furono i defaul di Enron, Worldcom e di qualche altra mega impresa a stelle e strisce, il che suggerisce che neanche i rigori della legge bipartisan approvata a tempo di record dal Congresso dopo quei tragici avvenimenti ha costituito un deterrente davvero efficace rispetto a quei reati finanziari che, a me come a tanti altri, appaiono francamente molto più gravi e forieri di allarme sociali dei pur gravissimi reati ascrivibili alla delinquenza comune!

In attesa del comunicato ufficiale che mi auguro chiarirà davvero tutti i dettagli di quello che è certamente il maggiore salvataggio pubblico di imprese comunque quotate in borsa dai tempi della Grande Depressione, un’altra entità del Governo Federale statunitense ci informa che sono 4 milioni i proprietari di case che o sono in ritardo con il pagamento delle rate del mutuo o sono già oggetto delle micidiali procedure che prendono il nome di foreclosure, il che mi costringe a ricordare nuovamente che, nel solo mese di settembre, andranno in asta una buona parte dello stock di 750 mila case già pignorate dalle banche e che le relative aste pubbliche si terranno spesso in zone che hanno già registrato cali dei prezzi delle case che vanno dal 30 al 50 per cento e che queste vendite all’incanto di molto dickensiana memoria non aiuteranno certo a riportare i prezzi delle case verso l’alto.

Per esigenze di spazio, ero stato costretto ieri a tagliare un ragionamento che, invece, credo molto attuale e che era basato sulla semplicissima constatazione che l’intervento di fiscal restore a pioggia per 165 miliardi di dollari, un intervento dagli effetti prevedibilmente modesti e che la speaker democratica alla Camera dei Rappresentanti, Nancy Pelosi, vorrebbe alquanto sciaguratamente replicare, ha bruciato risorse che sarebbe stato molto più saggio impiegare per giungere a quella sacrosanta rinegoziazione dei mutui caratterizzati da quelle micidiali clausole che prevedevano, spirato il periodo di grazia di due o tre anni previsto, un innalzamento drastico delle rate, spesso neanche correlate all’andamento dei tassi sul mercato interbancario, come accade per i normali mutui a tasso variabile.

Ove non fosse sufficientemente chiaro, sto parlando delle clausole previste dai mutui cosiddetti sublime o dagli ARM o Alt-ARM, vere e proprie armi di distruzione di massa, caratterizzati da effetti ancora più devastanti di quelle carte di credito revolving che il notissimo telepredicatore Jenkins invita, dopo sermoni seguitissimi e molto infuocati, a raccogliere al centro della sua Chiesa per venire distrutte in una sorta di rito purificatore e liberatorio, ma va anche detto che il neocrociato contro i guasti del mercato finanziario organizza anche seguitissimi corsi di istruzioni per l’uso consapevole del denaro, corsi nei quali si spiega un concetto molto arduo per le cicale statunitensi, ma molto seguito dai risparmiasi europei (sudditi di Sua Maestà britannica, ovviamente, esclusi), quale è quello del vincolo di bilancio, che, tradotto in soldini, dice semplicemente che non bisogna spendere più di quanto si guadagna; così come tappi di cera per le orecchie per resistere alle seducenti sirene che propongono allettanti soluzioni adatte forse al paese di Bengodi ma non a questo molto malconcio pianeta!

Come ho già avuto modo di ricordare, sono intenzionato, sempre che si realizzino i contatti in corso, a realizzare analoghi corsi di istruzioni per l’uso accorto dei propri risparmi, corsi inizialmente rivolti agli anziani e che ho avuto modo di effettuarne uno, in via sperimentale, per la sezione romana dell’associazione 50&Più della Confcommercio.

Ricordo che il video del mio intervento al convegno della UIL sulla crisi finanziaria è presente nella sezione video del sito dell’associazione Free Lance International Press all’indirizzo http://www.flipnews.org/ mentre gli atti del convegno sono esportabili dal sito http://www.uil.it/ nella sezione del dipartimento di politica economica.