venerdì 26 settembre 2008

Finalmente George W. Bush dice la verità!


Mentre ascoltavo il drammatico discorso che Gorge Bush ha pronunciato questa notte in prime time ed a reti televisive pressoché unificate, un discorso sostanzialmente corretto sulla tempesta perfetta in corso e sulle cause decennali che la hanno provocata, non riuscivo a togliermi dalla mente l’incipit di un noto commentatore statunitense che diceva che ogni domenica sera ingurgitava una dose massiccia di valium per calmare i suoi nervi scossi dall’attesa di quello che Bush, Bernspan e Paulson avrebbero tirato fuori dal loro cilindro al termine di un altro week end non dedicato al riposo del giusto, come peraltro accade pressoché ininterrottamente all’ex investment bunker Paulson da quel maledetto 9 agosto del 2007 che ha dato il via al più grabe meldown della finanza globale dalla fine del secondo conflitto mondiale.

Dico la verità, se fossi stato un rispiarmatore/investitore avrei immediatamente impartito un ordine di vendita al meglio o avrei operato on line, perché non c’è niente di peggio che sentire dire dal Presidente degli Stati Uniti d’America quello che tutti da tempo pensano e che, cioè, non esiste una ricetta sicura per curare il male provocato dall’azione dissennata e protrattasi per decenni degli apprendisti stregoni rinchiusi nelle fabbriche prodotto delle Investment Banks e delle divisioni di Corporate & Investment Banking delle banche più o meno globali basate al di quà ed al di là di un Oceano Atlantico divenuto d’un tratto talmente piccolo da poter essere attraversato a nuoto in poche bracciate!

E’ stato il quasi ex presidente della nazione più potente del mondo a dover ammettere quello che nessun banchiere, nessun assicuratore, nessun finanziere d’assalto ha avuto il coraggio di dire in questi lunghissimi tredici mesi e mezzo e cioè che l’effetto combinato della deregolamentazione, della finanziariazzazione e della globalizzazione ha prodotto un disastro di dimensioni colossali, al punto che la carta prodotta rischia di soffocare l’economia reale come un mostro potrebbe uccidere un bambino ancora in fasce.

Quello che Hank paulson non ha ancora spiegato al tremebondo Bush è che anche l’intervento che sta alfine per essere finalizzato non ha, né potrebbe avere, soprattutto dopo le sacrosante modifiche imposte dai democratici e dalle dure e spietate regole di una competizione per la Casa Bianca giunta a livelli mai visti in precedenza, le dimensioni sufficienti per aggredire il problema, ma forse coprirne una piccola parte e puntare su un contro effetto domino su cui a Washington sperano in tanti, anche per non essere ricordati dai posteri come gli autori di un inutile dissesto delle già non brillanti finanze pubbliche statunitensi.

Non vi è ufficio posto ai piani alti dei grattacieli che ospitano le varie sedi del capitalismo finanziario statunitense e di buona parte di quello globale dove non siano in corso riunioni su riunione tutte improntate all’”io speriamo che me la cavo”, con Chief Eexecutive Officers, Chief Financial Officers, Chief Operating Officers ed atterriti Chairman a fare ed a rifare calcoli sull’impatto prevedibile delle misure che si allontanano ogni ora che passa da quel salvifico bailout immaginato in partenza dal duo più celebre ed allo stesso tempo dileggiato del momento, la stranissima coppia formata da uno studioso di crisi finanziarie che si è trovato a gestirne una di dimensioni colossali a poco tempo dal suo insediamento alla guida della Federal Reserve e da uno dei più potenti e smaliziati investment bunker, un uomo che ha dovuto lasciare un posto veramente d’oro per imbarcarsi, per uno stipendio di pochi spiccioli, in una mission impossible volta a salvare il salvabile di quel grande e luminoso casinò a cielo aperto che è diventato negli ultimi decenni l’un tempo magico mondo della finanza.

Dopo la scomparsa, a vario titolo, dalla scena di Bear Stearns, Lehman Brothers e Merrill Lynch e la trasformazione in holding bancarie di Goldman Sachs e Morgan Stanley, la paura del futuro regna sovrana nel mondo dell’investment banking, incluse le divisioni di Corporate & Investment Banking delle banche più o meno globali, una comunità che conta, o meglio contava, grosso modo cinquecentomila donne ed uomini caratterizzati da grande preparazione, grande determinazione, una pressoché generalizzata spasmodica voglia di emergere e non troppe preoccupazioni per gli effetti sistemici del proprio operato sull’ambiente economico circostante; un mondo caratterizzato da regole proprie e da valori che a volte sono del tutto sconosciuti al di fuori dei confini di questo ambiente, con orari che si articolano sulle ventiquattro ore, nel corso delle quali non vi è una netta distinzione tra lavoro e tempo libero, anche perché, grazie ai fusi orari, un mercato si apre quando se ne chiude un altro in modo pressoché ininterrotto ed il tempo è scandito dagli immancabili orologi posti ovunque e che riportano l’ora di New York, di Londra e di Tokyo.

Alle paure e d alle angosce di questi mesi, si aggiunge ora la notizia che è stato raggiunto l’accordo tra gli esponenti democratici e repubblicani, con l’assenso di Bush, Bernspan e Paulson, sul dettaglio che prevede forti limitazioni agli stipendi effettivi (via taglio drastico delle sempre agognate stock options) di quanti lavorano nelle entità che applicheranno il dottissimo sportello che prenderà finalmente il posto della vastissima discarica a cielo aperto gestita dalle donne e dagli uomini della Fed di New York che non ne potevano proprio più del continuo turn over di tonnellate su tonnellate di titoli della finanza strutturata sempre più maleodoranti e tossici titoli della finanza strutturata.

Come era ampiamente prevedibile, al di là dei malumori dei diretti interessati al prossimo taglio di bonus e stock options, il mercato azionario statunitense sta brindando all’intesa sul più grande piano di salvataggio della storia e i titoli delle maggiori entità finanziarie sono partiti a razzo, recuperando qualche frazione delle pesantissime perdite cumulate dall’estate del 2007, un clima euforico che ha fatto passare del tutto in secondo piano l’assalto avvenuto stamane in Asia, per la precisione ad Hong Kong, dove gli sportelli della terza banca dell’isola passata dal controllo britannico a quello della Repubblica Popolare Cinese, la Bank of East Asia per i timori di possibile insolvenza della stessa, poi smentiti dai vertici della banca e dalle autorità monetarie di Hong Kong, autonome da quelle cinesi.

Come sempre accade, vi sono alcune eccezioni, come, ad esempio, la tecnicamente fallita Washington Mutual, alla ricerca disperata di un cavaliere bianco che la tolga dalle peste e che si segnala per un ulteriore e consistente calo del tutto in controtendenza con l’andamento della maggior parte delle azioni del comparto finanziario che, almeno temporaneamente, vengono richieste dagli operatori e dai risparmiatori/investitori che sembrano voler fare la loro parte in questo momento molto patriottico auspicato dal prossimo ex inquilino della Casa Bianca che ha voluto attorno a sé i due sfidanti nella corsa alla presidenze ed i leaders dei rispettivi loro partiti di appartenenza, oltre, ovviamente, a Benjamin Bernanke, in arte Bernspan, Hank Paulson e Christopher Cox, meglio conosciuto dai miei lettori come l’ineffabile Effe O Ixs.

Ricordo che il video del mio intervento al convegno della UIL sulla crisi finanziaria è presente nella sezione video del sito dell’associazione Free Lance International Press all’indirizzo http://www.flipnews.org/ mentre gli atti del convegno sono esportabili dal sito http://www.uil.it/ nella sezione del dipartimento di politica economica.