mercoledì 10 settembre 2008

Lehman Brothers e Morgan Stanley faranno davvero la fine di Bear Stearns?


L’euforia alquanto irrazionale che ha pervaso i mercati azionari di tutto il mondo nella seduta di lunedì sull’onda del salvataggio/nazionalizzazione di Fannie e Freddie è durata, come era ampiamente prevedibile, non più dello spazio di un mattino, infrangendosi stamane in Asia a causa del fatto che, alla fine della fiera, è semplicemente successo che lo stock del debito pubblico statunitense si è portato da 9.500 a poco meno di 15 mila miliardi di dollari, il tutto aggravato dal venir meno del giochetto che era basato sulla finzione di due entità private e regolarmente quotate che svolgevano tutto il lavoro sporco per le banche e le finanziarie di tutto il mondo grazie all’implicita garanzia pubblica.

I primi tonfi dei listini asiatici hanno svegliato anche i paciosi europei che pure volevano credere con tutte le loro forze al lieto fine della lunghissima telenovela sulla sorte delle due entità oramai divenute finalmente pubbliche e che, quindi, hanno fatto di tutto per limitare al minimo le perdite dei rispettivi listini, riuscendo anche a tenere su con gli stecchini le quotazioni delle azioni delle maggiori banche del vecchio continente, lasciando così che tutto quello che doveva accadere avvenisse sul palcoscenico principale del mercato finanziario globale, che è poi dove tutto questo marasma ha avuto inizio e, cioè, a Wall Street.

Qualche week end fa, vi avevo intrattenuto sui tre dossier aperti sul tavolo di Henry Paulson e che avevano ad oggetto la pratica ormai archiviata di Fannie e Freddie, la sorte di Lehman Brothers e quella di una non meglio identificata altra grande banca di investimenti o di una banca più o meno globale che, non possedendo doti medianiche, ho immaginato designata dalla lettera X, tre questioni problematiche che stavano togliendo il sonno ad analisti, operatori e banchieri, tutte persone molto spaventate e che, evidentemente, non credevano fino in fondo nei superpoteri di Henry, che pure di giochi di prestigio ne ha fatti tanti quando era l’indiscusso numero uno della potente e molto preveggente Goldman Sachs.

Eppure, anche in quest’ultimo giro di giostra Henry ha dimostrato di non scordarsi degli amici, disinnescando l’ennesima mina per le maggiori banche operanti negli Stati Uniti d’America, una mina da 36 miliardi di dollari equivalenti a quelle preferred shares di Fannie e Freddie che erano state costrette a sottoscrivere per l’assoluta impossibilità di trovare gonzi disposti a partecipare ad un eventuale aumento di capitale per via ordinaria; et voilà, zio Henry ha previsto che queste maledette azioni saranno levate dal groppone delle banche a spese dell’altro zio di tutti gli americani: lo zio Sam.

Ma poiché il diavolo fa le pentole ma non riesce mai a fare anche i coperchi, Henry non aveva fatto in tempo a riaversi dalle fatiche legate al primo dossier ed al relativo tour de force di apparizioni televisive ed interviste ai giornalisti della carta stampata, che ecco esplodere il secondo dossier, quello intestato alla storica banca dei fratelli Lehman che credeva di avere sbolognato a quei fessacchiotti di coreani (del Sud, of course) per scoprire ieri mattina che quelli tanto fessacchiotti non erano ed avevano convinto il Governo del loro paese a “impedirgli” di comprare la disastrata banca statunitense, anche perché, sotto la guida di un loro connazionale che ha guidato la filiale di Lehman in Corea, stanno per essere privatizzati con l’obiettivo di creare la terza banca di investimenti asiatica!

A questo punto, non solo David Einhorn e i miliardari che lo seguono come fossero un sol uomo, ma anche buona parte dei detentori di azioni di Lehman hanno iniziato a vendere a mani basse, spingendo in poche ore il valore dell’azione sino ad un miserrimo valore di 8 dollari, dal quale ha cercato faticosamente di rialzarsi, ma ormai la frittata era fatta e il sovrano della banca, Richard Fuld, appariva nudo esattamente come il re della famosissima favola che aveva avuto la sfortuna di imbattersi in un bambino poco credulone.

Credo che ad Allen Sinai, uno dei più famosi Guru di Wall Street, siano fischiate moltissimo le orecchie ieri, in quanto aveva cercato, in una recente intervista, di allontanare i crescenti sospetti degli operatori dalla banca della quale era stato a lungo il Chief Economist, azzeccando, invece, la soluzione del problema di Fannie e Freddie e prevedendo il botto di una altra grande banca operante negli USA, ma, a sua discolpa, devo dire che, forse, la Lehman nella quale lui ha così brillantemente operato somiglia poco a quella specie di Santa Barbara in procinto di esplodere messa insieme da Flud in questi ultimi anni.

Il problema è dato dal fatto che l’apertura repentina del secondo dossier rischia seriamente di fare deflagrare anche il terzo, anche perché occorrono almeno sei mesi di giaculatorie del tipo “puniremo severamente l’azzardo morale”, “non esiste entità troppo grande per poter essere lasciata fallire, oppure “non siamo disponibili ad effettuare nuovi salvataggi”, cioè il meglio del repertorio del miglior duo disponibile sulla piazza finanziaria di New York: Henry Paulson e Benjamin Bernanke, in arte Bernspan, per poter mollare il colpo successivo e “salvare” l’ennesima grande banca a spese, si intende, di quei creduloni dei contribuenti che si ostinano a credere ancora alle favole!

Eh già, sono trascorsi sei mesi quasi esatti da quando l’orso di Stearns ha tirato tristemente le cuoia, sei lunghi mesi nei quali tutti hanno avuto modo di assistere alle numerose repliche dello show descritto sopra, perché i tempi fossero maturi per piazzare sulle spalle dei 250 milioni di cittadini americani, anziani e neonati compresi, quegli oltre 5 mila miliardi di dollari di obbligazioni di Fannie e Freddie, con il bel risultato di aumentare di oltre un terzo il peso del debito pubblico pro capite, il che implica che una ripetizione a pochi giorni di distanza per salvare la banca dei fratelli Lehman è del tutto esclusa, anche se Henry e Bernspan sono consapevoli come pochi che l’eventuale botto di Lehman porterà immediatamente a quello della grande banca a cui è intestato il terzo dossier e minaccerà la stabilità di quel gruppo di 15-20 grandi protagoniste del mercato finanziario globale che, come tutti oramai sanno, sono strettamente interrelate l’una con l’altra in un guazzabuglio di debiti e crediti reciproci.

Sinceramente non so se Richard Fuld sarà ancora al suo posto nel giorno della prossima settimana fissato per l’illustrazione dei risultati del credo non esaltante terzo trimestre di Lehman, confesso, anzi, di non sapere se esisterà ancora una Lehman o sarà stata incorporata da una delle tre, per il momento, superstiti Investment Banks statunitensi, sempre che il terzo dossier non sia intestata ad una di loro che, lo ricordo per la cronaca, sono Goldman Sachs, Merrill Lynch e Morgan Stanley; sempre che non sia intestato a Citigroup, a J.P. Morgan-Chase, a Bank of America o a Wachovia Bank!
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Apprendo solo ora che lo show di Fuld è stato anticipato ad oggi, sette giorni prima del previsto, anche perché ieri sono state scambiate centinaia di milioni di azioni di Lehman che ha chiuso sotto gli 8 dollari, e che quasi certamente annuncerà la vendita del suo gioiello di famiglia nel wealth management, la svendita di almeno 40 miliardi di dollari di titoli della finanza strutturata a prezzi di assoluto saldo e, the last but not the least, un'ulteriore feroce ristrutturazione di quella che, almeno per il momento, resta la più piccola delle superstiti Big Four; vengo anche a conoscenza, dai siti finanziari americani, del fatto che la maggiore indiziata di essere l'intestaria del terzo dossier che agita i sonni di Henry Paulson potrebbe essere l'Investment Bank di cui meno si è parlato in questi lunghissimi 13 mesi: Morgan Stanley.
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Ricordo che il video del mio intervento al convegno della UIL sulla crisi finanziaria è presente nella sezione video del sito dell’associazione Free Lance International Press all’indirizzo http://www.flipnews.org/ mentre gli atti del convegno sono esportabili dal sito http://www.uil.it/ nella sezione del dipartimento di politica economica.