Alla fine, come era peraltro largamente prevedibile, i ribelli repubblicani hanno sgombrato il campo e lasciato il posto ai loro rodati leaders operanti nei due rami del Congresso statunitense, che hanno raggiunto un faticosissimo compromesso sul mega piano di salvataggio di Wall Street da 700 miliardi di dollari, consentendo di comprendere che l’anomala levata di scudi degli appartenenti al partito dell’elefante serviva soltanto ad evitare che passassero alcune richieste cruciali dei democratici in merito alla possibilità per i giudici di modificare i termini dei mutui, così come alla eventualità di rinegoziare i mutui sottostanti a gran parte dei titoli tossici che alla fine verranno acquisiti dal fondo gestito da Hank Paulson ad un prezzo non determinato, ma certamente più favorevole per le banche degli spiccioli attualmente offerti dal mercato.
Nessuno certamente credeva alla proposta in termini assicurativi avanzata dal Great Old Party in alternativa a quella immediata boccata di ossigeno della quale le banche statunitensi di ogni ordine e grado hanno bisogno come il pane, la cortina fumogena e la tirannia rappresentata dalla lunghezza non estensibile del week end, hanno costretto Nancy Pelosi, la speaker democratica del Congresso a rinunciare anche a passaggi importanti contenuti nella prima bozza di intesa raggiunta venerdì scorso, proprio l’intesa che doveva essere festeggiata sotto le telecamere di tutto il mondo nel giardino della Casa Bianca dal trio Bush-Paulson-Bernanke, gli sfidanti alla presidenza degli Stati Uniti d’America, Obama e Mc Cain, ed i leaders dei due maggiori partiti, una festa irrimediabilmente guastata dalla fulminea intesa tra lo sfidante repubblicano e quella parte del suo partito che non gradiva affatto le concessioni concesse ai democratici, volte a riequilibrare l’originario piano di Hank che, lo ricordo per i più distratti, aveva il solo scopo di liberare le banche dal maggior numero possibile di titoli tossici ad un prezzo che va dal doppio al triplo di quello spuntato da un collaudatissimo banchiere come John Thain, da qualche tempo alla guida di Merrill Lynch.
Se avete proprio voglia di farvi male, andate a leggere le analisi fatte a caldo dalle maggiori agenzie di stampa americane che, nella solita serata domenicale che vedeva accese le luci ai piani alti delle banche statunitensi di ogni ordine, grado e specie, ma fareste anche prima potendo sbirciare in quelle stanze e leggere il sollievo e la aperta soddisfazione stampate sui volti di Chairman, Chief Executive Officers, Chief Financial Officers e Chief Operating Officers, che avevano trascorso intere giornate a valutare gli scenari alternativi che mano mano si andavano profilando e che avevano dovuto amaramente mettere nel conto la possibilità che quella di Paulson si trasformasse nell’ennesima idea abortita dell’ex investment banker che aveva messo sul piatto il più grande piano di salvataggio delle ex banche di investimento sopravvissute alla tempesta perfetta, delle banche commerciali più o meno globali, dei fondi pensione e di quelli di investimento, nonché delle compagnie di assicurazione.
Solo la consapevolezza della gravità del momento e della profonda arrabbiatura dell’americano medio per un piano che salva Wall Street a spese delle innumerevoli Main Street sparse per quella che rimane la più grande nazione del pianeta, una rabbia ed una indignazione espresse dalla nuova agorà elettronica, internet, sulla quale si è manifestata la più grande catena di bloggers, gente comune, economisti e commentatori non embedded alla logica di Big Finance, una catena umana che non ha assolutamente precedenti nella nazione nella quale, alla fine, ognuno si fa i fatti propri e tutti pensano che, al di là del momento del voto, non vi sia alcuna possibilità per il cittadino comune di incidere sulle scelte di quelli che dovrebbero essere i loro rappresentanti, ben consapevoli del peso enorme esercitato dai lobbisti dal portafoglio pieno che Big Finance, Big Pharma, Big Oil, Big Business esercitano su quanti dovrebbero avere a cuore solo gli interessi dei loro elettori!
Nonostante le rassicurazioni dell’oramai esausta Nancy Pelosi, non è ancora escluso un ennesimo colpo di teatro nella seduta di oggi della Camera dei Rappresentanti, anche perché questa è l’ultima volta che i fari delle telecamere potranno dare un quarto d’ora di celebrità a persone che da domani dovrebbero tornare alle dure fatiche prevista dalla più aspra competizione elettorale mai verificatasi dal secondo dopoguerra, la prima, peraltro, che si svolge nel corso di una tempesta perfetta che, almeno con riferimento al mondo della finanza, non ha più alcun precedente di riferimento, né vanno escluse tentazioni dal sapore del tutto populistico da parte dell’anziano candidato del GOP, non proprio favorito nella corsa alla Casa Bianca e tentato fortemente anche di cambiare in corsa il ticket, estromettendo Sarah barracuda e prendendo al suo fianco il ben più rodato miliardario mormone che gli aveva inizialmente conteso con una certa efficacia la candidatura.
Comunque vada a finire questa che, comunque la si rigiri, finirà per rappresentare un brutto capitolo della storia della tempesta perfetta, è altrettanto chiaro che le tensioni maggiori finiranno per spostarsi sull’arena finanziaria europea, e le netoizie giunte alla fine del week end dal Belgio e dalla Germania, con il salvataggio in extremis del colosso Fortis e la crisi ormai annunciata di un vero colosso dei mutui in Germania, anche perché è già stato stimato che i benefici del piano Paulson per le banche europee saranno tutto sommato modesti, fatta ovviamente eccezione per quei pochi big players che operano alla grande anche negli Stati Uniti d’America e che potrebbero partecipare alle aste che a breve verranno indette, così come già oggi beneficiano dei servigi della più grande discarica a cielo aperto gestita dalla Fed di New York e che ospita per 84 giorni ed a un tasso di assoluto favore, i titoli più o meno tossici della finanza strutturata.
Ma mi permetto di dire, come al solito sommessamente, che il problema vero non è tanto quello della sistemazione dei guai del passato al di qua ed al di là dell’Oceano Atlantico, perché, ammesso e non concesso che il mega deal statunitense vada in porto, il problema continua ad essere quella della rottura irrimediabile del modello cosiddetto lend and share, non fosse altro che per quella data massima prevista per l’accettazione dei titoli più o meno tossici alle aste indette dal Tesoro Usa (8 marzo 2008), una deadline che impedirà la ripetizione del giochetto più in voga negli ultimi decenni e che, insieme all’uso veramente selvaggio dell’effetto leva da parte di investment e commercial bank, ha consentito quella lunghissima fase di credito facile ed a costi veramente contenuti, che a sua volta è stata il vero motore che ha consentito l’elevatissimo livello dei consumi delle cicale statunitensi e la gestione tutto sommato indolore della più grande distribuzione internazionale del lavoro, complice anche l’estrema pazienza dei cinesi e degli altri asiatici, come già prima i giapponesi e gli arabi, nei confronti delle necessità finanziare del gigante americano.
Un fenomeno non molto diverso da quello verificatosi nel caso della finanziarizzazione ha riguardato poi l’altrettanto pervasivo fenomeno della finanziarizzazione spinta dell’economia globale, il che consente di dire che, comunque vada a finire oggi e domani al Congresso USA, il vero problema continuerà ad essere quello della capacità del sistema finanziario globale di fare credito alle crescenti esigenze dell’economia altrettanto globale!
Ricordo che il video del mio intervento al convegno della UIL sulla crisi finanziaria è presente nella sezione video del sito dell’associazione Free Lance International Press all’indirizzo http://www.flipnews.org/ mentre gli atti del convegno sono esportabili dal sito http://www.uil.it/ nella sezione del dipartimento di politica economica.