sabato 13 settembre 2008

Se 350 miliardi di dollari di denaro fresco vi sembrano pochi, provate voi a trovarli in piena tempesta perfetta!


Quella di ieri sul mercato finanziario statunitense è stata una giornata davvero surreale, percorsa dalle dichiarazioni dell’ineffabile ministro del Tesoro USA ed investment banker, Henry Paulson, volte a spezzare le gambe alle aspirazioni dei presunti candidati all’acquisto della disperata Lehman Brothers guidata, si fa ovviamente per dire, dall’uomo solo al comando, Richard Fuld, che persone vicine alla quarta e storica banca di investimenti statunitense giurano di aver visto legato al timone del suo vascello imbarcante acqua da più parti e con le orecchie tappate di cera per resistere alle molte sirene che lo invitano a girare la barra verso il sicuro porto rappresentato dai vari articoli della molto accomodante legge fallimentare ancora vigente nel paese a stelle e strisce.

Al di là della relativa attendibilità delle parole di Paulson, che, è bene sempre tenerlo a mente, ha guidato per lunghissimo tempo la potente e molto preveggente Goldman Sachs, un’entità monstre dell’investment banking e grande rivale di lehman come delle altre due superstiti investment banks, Merrill Lynch e Morgan Stanley, non vi è dubbio alcuno che gli altissimi marosi della tempesta perfetta, che nel frattempo ha ormai doppiato la boa dei tredici mesi di durata, spingono decisamente verso un processo di concentrazione che potrebbe concludersi con la permanenza di due sole Investment Banks rispetto alle cinque che esistevano prima del 9 agosto 2007 e di due Commercial Banks, la metà esatta di quante ve ne erano prima di quella fatidica data che oramai costituisce uno spartiacque tra i tempi della finanza allegra ed arrembante e lo sfacelo attuale.

Non va poi assolutamente dimenticata la durissima lezione rappresentata dalla precedente crisi bancaria dei primissimi anni Novanta, quella delle Saving & Loans statunitensi, che portò in pochi anni il numero delle banche made in USA da 14.500 alle 7.200 attuali, un numero a cui vanno, per il momento, già sottratte le undici banche fallite in questi ultimi mesi, una sottrazione che è, purtroppo, meno di un antipasto di quello che è destinato ineluttabilmente ad accadere nei prossimi mesi e nei prossimi anni, un periodo di tempo che verrà impiegato a smaltire un numero di banche di ogni ordine e grado che va da un’ipotesi ottimistica cifrabile in centinaia di entità soccombenti ad una pessimistica e realistica al tempo stesso che vede le vittime nell’ordine delle migliaia.

Basti pensare a quanto è accaduto in un solo mese nell’un tempo floridissimo settore delle finanziarie che fungevano da tramite tra il vasto, potenziale pubblico degli aspiranti all’acquisto della casa di abitazione e le banche destinatarie dei mutui acquisiti, a volte letteralmente carpiti, da quei fanciulloni molto speranzosi che sono i cittadini degli Stati Uniti d’America, mutui che venivano lestamente impacchettati a migliaia ed infilati in titoli della finanza strutturata sempre più complessi, titoli che finirono per raggiungere livelli di sofisticazione tali da essere a volte difficilmente compresi anche dagli apprendisti stregoni delle fabbriche prodotto delle Investment Banks e delle divisioni di Corporate & Investment Banking delle banche più o meno globali che li avevano inventati!

Il problema vero è che lo stesso dissesto della banca fondata poco meno di 160 anni orsono dai tre fratelli Lehman ed affidata 39 anni fa dalla famiglia all’attuale Chairman e Chief Executive Officer, Richard Fuld, si accompagna alle ambasce delle tre consorelle, inclusa la potente e molto preveggente Goldman Sachs, a quelle della più grande banca mutualistica a stelle strisce, Washington Mutual ed a quelle di un colosso del settore assicurativo del calibro di AIG, mentre per le principali compagnie monoliner, MBIA ed Ambac, al di là delle escursioni da montagne russe delle rispettive quotazioni (ma Effe o Ixs è ripiombato nel suo sonno perenne?), si può oramai apertamente parlare di una caso di scuola di accanimento terapeutico che, pur con i biblici tempi di Moody’s e Standard & Poor’s, vedrà presto i rispettivi ratings a livello dei junk bonds.

Trascorsa l’effimera tregua dovuta al settimo anniversario dell’11 settembre 2001, è su questi temi che si infiammerà sempre più la campagna per le presidenziali USA, una tenzone che vede contrapposti due candidati che hanno lavorato, pare anche bene, fianco a fianco, da senatori degli Stati Uniti d’America, per studiare un provvedimento che mettesse in qualche modo la museruola a quelli che negli infuocati comizi di questi giorni vengono tranquillamente definiti gli avidi uomini di wall Street che stanno mandando letteralmente a picco le tante Main Street presenti anche nel più sperduto agglomerato di case di quella nazione che va dalle montagne rocciose al mare, come giustamente recita l’inno nazionale.

Se fossi nei panni dei tanti Fuld che popolano gli uffici posto ai piani alti dei grattacieli che ospitano i quatier generali delle banche e delle compagnie di assicurazione di ogni ordine e grado cercherei di evitare l’errore di considerare quello che viene detto e tanto applaudito nei sovra menzionati discorsi come roba destinata ad andare in soffitta a risultato elettorale acquisito, in quanto politici smaliziati come, ad onta della evidente differenza di età, sono i due principali candidati, non sarebbero giunti a quel feroce processo di selezione rappresentato dalle defatiganti primarie dei rispettivi partiti se non fossero in grado di captare gli umori dei loro sostenitori che chiedono a gran voce che scorra il sangue, metaforicamente parlando si intende, degli odiati banchieri e businessman che hanno clamorosamente infranto quanto restava dell’American Dream!

Né va dimenticato che il resuscitato professor Mario Draghi, che a quanto risulta continua ad essere a capo del Finanzia Stability Forum, ha ieri approfittato dell’ennesimo meeting dell’Ecofin per lanciare un appello alquanto drammatico alle banche di ogni ordine e grado che necessitano, alla luce delle evidenze in suo possesso, di reperire almeno altri 350 miliardi di dollari, esattamente la stessa cifra che queste un tempo onnipotenti ed attualmente alquanto esauste entità hanno faticosamente raggranellato dagli investitori sempre più diffidenti e sempre meno disponibili residenti nei cinque continenti.

Mi permetto con il solito tono sommesso e rispettoso di suggerire al giovane e preparato Governatore della Banca d’Italia, uno dei pochi italiani, insieme forse a Franco Bernabè, Tommaso Padoa Schioppa e Mario Monti a godere del rispetto e della considerazione del gotha imprenditoriale e finanziario di tutto il mondo, come ben testimoniato dalla lista degli invitati ad appuntamenti esclusivissimi quali le riunioni annuali del Gruppo Bildberg, a rispolverare i suoi ricordi da investment banker, frutto della sua breve quanto intensa esperienza ai vertici europei e globali di Goldman Sachs, per comprendere che quanto chiede che le banche facciano è, seppure urgente ed assolutamente indispensabile, del tutto impossibile, a meno di prevedere che, dopo i poco esaltanti casi della britannica Northern Rock e delle gigantesche Fannie e Freddie, non si abbia in animo di procedere, manu militari, alla nazionalizzazione di quel che resta delle principali protagoniste del mercato finanziario globale, un’ipotesi del tutto impraticabile sia al di quà che al di là dell’Oceano Atlantico, per il semplicissimo motivo che le casse pubbliche sono oramai desolatamente vuote!

Ricordo che il video del mio intervento al convegno della UIL sulla crisi finanziaria è presente nella sezione video del sito dell’associazione Free Lance International Press all’indirizzo http://www.flipnews.org/ mentre gli atti del convegno sono esportabili dal sito http://www.uil.it/ nella sezione del dipartimento di politica economica.