venerdì 26 settembre 2008

J.P. Morgan-Chase si pappa anche WaMu!


Doveva accadere ed è puntualmente accaduto: una grande banca statunitense, forse la più grande cassa di risparmio del mondo con migliaia di sportelli ed un totale dell’attivo superiore a 300 miliardi di dollari, la Washinton Mutual, è stata costretta ad alzare le braccia ed è finita tra le amorevoli braccia della solita J.P. Morgan-Chase, la banca dei nipotini di John Pierpoint Morgan e dei tanti eredi della casata Rockfeller, il cui capostipite ispirò Walt Disney nel realizzare il nemico di Paperon de Paperoni, l’invidioso e veramente perfido Rockerduck, per la risibile somma di 1,78 miliardi di dollari per una banca che ne valeva parecchie decine soltanto un’era fa, prima, cioè, che il 9 agosto del 2007 la tempesta perfetta si abbattesse sul magico e dorato mondo della finanza globale.

Ma come è stato possibile che una banca realmente ordinaria, quale era Washington Mutual, sia finita in una situazione di totale dissesto? Anche in questo, come in tanti altri casi precedenti e nei tanti che, purtroppo verranno, è molto semplice, in quanto, pur avendo vissuto in prima persona il precedente dissesto bancario statunitense, quello che ha riguardato nei primi anni Novanta l’intero settore delle Saving and Loans statunitensi delle quali era incontrastata regina, i suoi vertici sono riusciti ad accumulare il peggio del peggio dei finanziamenti diretti, o via titoli del tutto tossici della finanza strutturata, al settore del mortgage, oramai divenuto incontestabilmente la vera palla al piede delle banche statunitensi di ogni ordine e grado, non che quelle europee ed asiatiche stiano meglio!

Non so se ha ragione la brava presidentessa del Federal Deposit Insurance Corporation nel ritenere che, trattandosi di un merger tra due entità entrambe in bonis, l’organismo federale da lei presieduto non è tenuto, in punta di fatto e di diritto, a non sborsare un solo dollaro, che, tra l’altro, visto l’ingente impegno per IndyMac e per le altre dieci banche testé fallite, proprio non ha, o gli aggueritisimi advisors di J.P. Morgan-Chase che sostengono l’originalissima tesi dell’acquisto dell’attivo e non del passivo di WaMu, come viene sbrigativamente appellata negli States, anche perché ritengo che, se ciò fosse vero, non si spiegherebbe in alcun modo il prezzo del tutto vile corrisposto e che mette una pesante pietra tombale sulle attese dei disperati azionisti di WaMu di recuperare una parte più consistente del loro investimento iniziale.

Ascoltavo proprio ieri una trasmissione radiofonica targata RAI, nel corso della quale un disperato investitore italiano chiedeva ad un allibito analista di una banca altrettanto italiana se aveva qualche possibilità di rivedere almeno una parte maggiore dei 10,5 dollari per azione sborsati tempo fa per le azioni in suo possesso di WaMu, al che, pur provando umana solidarietà per la sua più che prevedibile e molto prossima disgrazia, mi chiedevo quale può essere mai il motivo per il quale un invetitore/risparmiatore italiano decida di investire i suoi pochi o tanti soldi su una banca posta a migliaia di miglia di distanza e della quale non sa probabilmente nulla, se non quello che può aver letto nello sciatto report di qualche analista straniero o nostrano al soldo di qualche banca di investimento o di qualche banca più o meno globale!

Ma così va il mondo e, come il compianto Maffeo Pantaloni, anche io, a volte, sarei tentato di scendere, tentazione che non mi sfiora nemmeno in questo momento in cui stanno accadendo cose che rappresentano un, seppur doloroso ed a volte sanguinoso, redde rationem di un sistema che, come sostengono opportunamente Kholer e Sarkozy, presidente della Germania e della Francia, era letteralmente impazzito, anche se il primo, da managing director del Fondo Monetario Internazionale, aveva pur avuto la possibilità di lanciare per tempo quel segnale di allarme che non mi risulta abbia neanche immaginato di lanciare quando risiedeva in quel di Washington che pure fornisce il nome alla grande cassa di risparmio testé fallita/acquisita.

Dopo l’assalto agli sportelli della bank of East Asia, in quel di Hong Kong, banca che ha poi visto il salvino intervento di in mutibillioner asiatico forse colpito dalla mossa del Leone di Omaha su Goldman Sachs, giunge una ferale notizia tratta dal blog del bravissimo Federico Rampini che, non pago di scrivere quasi un articolo, a volte due, al giorno sul quotidiano La Repubblica, tiene anche in proprio un interessantissimo e molto gettonato taccuino asiatico, notizia che mi auguro sia del tutto infondata ma che è riportata da un quotidiano cinese e che informa del fatto che le autorità monetarie della Repubblica Popolare Cinese avrebbero impartito alle banche cinesi di non finanziare più le banche statunitensi, anche se non ho capito se veniva operata una distinzione tra le ex Investment Banks e le Commercial Banks o se l’invito (ordine?) riguardasse le banche statunitensi tout court.

Non aiuta certo il rasserenamento del clima molto teso che si respira da mesi a Wall Street e dintorni globali l’interruzione del negoziato tra democratici e repubblicani sul mega piano di salvataggio fortemente voluto da Hank Paulson, il ministro del Tesoro e non l’hedge under quasi omonimo che è stato di recente messo alla berlina per avere, insieme ad altri speculatori, giocato alla grande al ribasso sulle già molto malandate banche britanniche, provocando un’inchiesta della FSE e l’ira di Gordon Brown, nonché l’indispettimento della Regina Elisabetta II che ha un brutto ricordo personale di fallimenti bancari (ricordate Nick Leeson?), anche perché pare che l’interruzione sia dovuta all’intervento personale di John Mc Cain che pare si sia messo alla testa di un drappello di parlamentari repubblicani contrari all’ipotesi di accordo faticosamente raggiunta tra i leaders parlamentari dei due partiti, mossa dovuta, secondo i maligni, alla sua ferma volontà di evitare l’atteso faccia a faccia di stanotte (ora italiana) con il suo rivale nella corsa alla casa Bianca, Barack Obama.

Come spesso accade in momenti drammatici come questi, drammaticità senza dubbio acuita dal sussulto di sincerità che ha coloto l’ormai prossimo ex inquilino della Casa Bianca, George W. Bush, che ha certamente al contempo terrorizzato le decine di milioni di americano che lo hanno ascoltato l’altra notte in prime time ed a reti pressoché unificate, non sono assolutamente chiari i termini della contesa e quali siano le ragioni degli insorti repubblicani contro un compromesso che, seppur imperfetto, rimetteva sui piedi un piano governativo smaccatamente favorevole agli interessi di Big Finance, anche se, forse, per avere una risposta a questo busillis, sarebbe meglio chiederlo ai potentissimi lobbisti al soldo delle banche e delle compagnie di assicurazione che stanno vistosamente soffiando sul fuoco, nell’interesse dei loro datori di lavoro, anche a costo di incendiare la prateria!

Un rapido sguardo ai listini azionari asiatici, pressoché tutti in rosso, consente di capire quanto sia profondo lo sconcerto degli analisti e degli operatori rispetto al mancato lieto fine che tutti si attendevano sullo sfondo del giardino della Casa Bianca, un mancato happy end che peserà!

Ricordo che il video del mio intervento al convegno della UIL sulla crisi finanziaria è presente nella sezione video del sito dell’associazione Free Lance International Press all’indirizzo http://www.flipnews.org/ mentre gli atti del convegno sono esportabili dal sito http://www.uil.it/ nella sezione del dipartimento di politica economica.