lunedì 15 settembre 2008

Merrill Lynch si salva e Lehman Brothers fallisce!


Il miracolo del salvataggio contemporaneo di due grandi entità finanziarie tecnicamente fallite verificatosi, grazie allo Zio Sam, pochi giorni orsono nel caso di Fannie Mae e Freddie Mac non si è ripetuto anche questo week end, in quanto, trattandosi stavolta di due Investment Banks come Lehman Brothers e Merrill Lynch, si è dovuto fare una scelta e l’unica candidata al salvataggio, Bank of America, ha scelto di acquistare per 44 miliardi di dollari (quasi certamente carta contro carta) Merrill Lynch che nei mesi scorsi era stata molto opportunamente affidata ad un uomo dell’esperienza di John Thain che, evidentemente, ha agito come un curatore fallimentare effettuando operazioni che avevano l’unico obiettivo di rendere la banca appetibile per un eventuale compratore.

Rileggendo oggi l’intervista che Thain, un importante passato in Goldman Sachs e per qualche anno numero uno del New York Stock Exchange, concessa a Maria Bartiromo, la discussa ma efficiente ancorwoman del canale televisivo CNBC, appare del tutto evidente come dietro la decisione di liberarsi di 30 miliardi di dollari di titoli delle finanza strutturata a 22 centesimi per dollaro, il banchiere stesse operando in direzione delle vendita della Investment Bank che da poco e con un contratto con clausole da calciatore di prima grandezza era stato chiamato a salvare, una decisione, peraltro, che aveva messo nella peste tutti i suoi concorrenti che, a partire da quel giorno, non potevano più continuare nelle loro manfrine in sede di resocontazione, per il semplice motivo che il prezzo di quella spazzatura rappresentata dai CDO, gli ABS e le altre invenzioni degli apprendisti stregoni delle fabbriche prodotto delle banche globali avevano ricevuto un autorevole valutazione costata lacrime e sangue al valutatore medesimo.

Se c’è una differenza tra Lehman Brothers e Merrill Lynch sta proprio nel diverso comportamento tenuto dai suoi vertici, una diversità che ha dell’assurso, in quanto entrambe le entità avevano intrapreso la stessa strada di deleverage a tutti i costi, anzi la banca fondata quasi 160 anni orsono dai fratelli Lehman l’aveva intrapresa in anticipo rispetto a Merrill, grazie alla determinazione ed al coraggio mostrati dall’allora Chief Financial Officer Erin Callan, una donna giovane e preparata poi costretta, insieme al Chief Operating Officer della banca, ad abbandonare l’incarico a pochi giorni dalla presentazione dei dati trimestrali da un capitano di lungo corso quale Richard Fuld Jr. che non voleva assolutamente saperne di accettare quei livelli di svalutazione della paccottiglia che si trovava in casa, convinto come era e tuttora è che quelle svalutazioni fossero esagerate e che bastava tenere i nervi saldi per potere alla fine dimostrare che quella valanga di default prevista dai modelli non si sarebbe verificata.

Purtroppo per lui e per la storica banca di investimenti da lui guidata da poco meno di quarant’anni e passata attraverso innumerevoli traversie, non basta avere ragione per convincere un mercato assolutamente in piena crisi di nervi e stanco delle bugie a raffica e di rassicurazioni che vengono smentite pochi giorni dopo, come è accaduto nel caso di Bear Stearns soltanto sei mesi fa, mentre quello che conta davvero è mostrare urbi et orbi che si ha il coraggio di mettere la parola fine, pagando s’intende, ai dubbi e le incertezze degli analisti e degli operatori e mostrando loro che si fa davvero sul serio, anche a costo di bruciare in pochi mesi un quarto degli utili conseguiti dalla propria banca in decenni di operatività!

Sono perfettamente consapevole, ed oggi lo sono molto amaramente anche i membri del board of directors di Lehman ed i suoi sventurati azionisti, che se il predecessore di Thain, un altrettanto capitano di lungo corso di Wall Street, fosse rimasto al suo posto, si sarebbe comportato esattamente come ha fatto Richard Fuld Jr, ed altrettanto può dirsi per lo sventurato Chuck Prince III, o per l’ex numero uno di Bear Stearns, in quanto per persone come loro, abituate alla ciclicità della finanza e dell’economia, è veramente difficile accettare il responso dei loro tecnici supportato dai loro mostruosi e sofisticatissimi modelli econometrici, un responso che renderebbe, e purtroppo rende, necessario svendere tutto, costi quel che costi, mentre loro sanno benissimo che un repentino ritorno al vecchio modello dell’originate and hold, in questo caso solo hold, consentirebbe di ridurre e di tanto le perdite, con questo ignorando il semplicissimo fatto che, in una fase come questa, la variabile scarsa è proprio il tempo.

Sarei davvero curioso di vedere come hanno reagito quelli, come David Einhorn, che avevano capito tutto, ma proprio tutto, sin dai primi giorni della tempesta perfetta, agendo di conseguenza e vendendo allo scoperto tutto il vendibile, certi che, alla fine, quei banchieri, quei regolatori, quei governanti avrebbero fatto esattamente quello che hanno fatto in questi lunghissimi tredici mesi: una somma di errori da manuale, conditi da dichiarazioni rassicuranti talmente ripetute da diventare del tutto inefficaci, per non parlare poi del comportamento del tutto irrazionale delle banche centrali ancora convinte di avere la possibilità di condizionare i mercati e del tutto dimentiche del fatto che, grazie alla miscela veramente esplosiva della globalizzazione e della finanziarizzazione, i volumi su quei mercati sono diventati di dimensioni talmente mostruose che loro, con i loro tempi di reazione e le loro scarse munizioni, sono oramai assolutamente non più in grado di influenzare né il mercato dei cambi, né quello della finanza strutturata, né quello dei micidiali Credit Default Swaps, né tantomeno sono in grado di convincere le banche che sono chiamate a controllare a riprendere a fidarsi l’una dell’altra!

David e gli altri multimilionari che gli si sono messi in scia sapevano benissimo che i decision makers politici ed economici avrebbero evitato in ogni modo di fare l’unica cosa sensata che c’era da fare nel lontanissimo mese di settembre del 2007 , cioè seguire il saggio suggerimento di una delle poche donne poste a capo di un’agenzia federale che, a poche settimane dal 9 agosto di quello stesso anno, aveva capito tutto ed aveva chiesto con quanta voce aveva in corpo che si trovasse un modo per rinegoziare quelle decine di milioni di mutui che presentavano le cosiddette clausole capestro e che portavano le rate a moltiplicarsi nell’importo, finendo per superare il reddito, pur medio-alto, dei mutuatari e costringendoli o a svendere l’abitazione o a finire, mani e piedi legati, nelle procedure di foreclosure, come è poi accaduto a milioni di famiglie americane nei mesi successivi.

Come scrivevo ieri, l’aspetto veramente grottesco della peraltro tristissima vicenda della banca fondata quasi 160 anni orsono dai tre fratelli Lehman è rappresentato dal fatto che, una volta tanto, Fuld e gli altri top manager hanno detto la verità in quella che sarà certamente la loro ultima conference call, ma il risultato non è stato quello che loro si attendevano in perfetta buona fede, e cioè un netto rimbalzo della quotazione dell’azione, bensì il tonfo ulteriore, la vana tre giorni di decine e decine di addetti ai lavori in quel di Washington e, forse anche oggi, il mesto pellegrinaggio di Fuld e dei suoi top manager in tribunale per chiedere la calda accoglienza ancora offerta ai bancarottieri dalla legge fallimentare statunitense!

Ricordo che il video del mio intervento al convegno della UIL sulla crisi finanziaria è presente nella sezione video del sito dell’associazione Free Lance International Press all’indirizzo http://www.flipnews.org/ mentre gli atti del convegno sono esportabili dal sito http://www.uil.it/ nella sezione del dipartimento di politica economica.