sabato 21 marzo 2009

George Soros si compra una banca!


Come ho scritto più volte nel Diario della crisi finanziaria, se John Maynard Keynes resta il mio faro per comprendere le vicissitudini del molto travagliato mondo dell’economia e della finanza, le mie stelle polari per orientarmi tra i sempre più alti marosi della tempesta perfetta in corso da venti mesi restano il leone di Omaha, Warren Buffett, e quello che un tempo era considerato il nemico numero uno delle banche centrali europee e asiatiche, il finanziere George Soros, due persone che avevano l’intelligenza, i mezzi e l’opportunità di diventare molto più ricchi approfittando della drammatica situazione determinatasi il 9 agosto del 2007, ma che hanno, invece, cercato di fare il possibile per contrastarne gli effetti, anche a costo di rimetterci, non troppo si intende, di tasca propria.

Un comportamento ben diverso sia dalle gesta compiute nel passato, in particolare da quegli assalti all’arma bianca che videro Soros umiliare l’arroganza dei governi e delle banche centrali della Gran Bretagna e dell’Italia che cercavano di mantenere su parità irrealistiche le loro rispettive valute, o dalle incursioni di Buffett nella governance della maggiori corporations statunitensi, spesso sotto quella che non è eccessivo definire la tirannia di top manager spesso incompetenti ma dotati da quell’avidità e quel tasso di irresponsabilità sociale che troveremo anni dopo in quegli organismi autodefinitisi private equity, ma che il buon senso e la saggezza popolari hanno molto opportunamente ribattezzato locuste!

Poco importa, almeno ai fini del mio sforzo interpretativo, che gli imitatori dei due finanzieri, i vari David Einhorn e complici, stiano cercando in ogni modo, e pare anche con grande successo, di ripercorrerne le orme, vendendo, al riparo di opportuni paradisi fiscali, tutto il vendibile e tutto quello che abbia un qualche riferimento con la parola banca o finanza, anche se credo che da qualche tempo abbiano impresso una nuova direzione alle loro operazioni, ma si tratta solo di un impressione, in quanto la loro operatività è molto poco tracciabile anche dalle allertate autorità monetarie e dai vigilatori sulle borse di mezzo mondo.

Pur essendo notoriamente dei grandi filantropi, né Buffett, né tanto meno Soros, sono persone abituate a gettare i propri soldi dalla finestra, ma sono ben consapevoli che quello che è attualmente in gioco è talmente importante che si possono anche perdere dei soldi acquistando azioni di Lehman Brothers poco prima che il trio Bush-Paulson-Bernspan costringesse quella stessa storica banca di investimenti a portare i propri libri al tribunale fallimentare, o, come ha fatto Buffett, prestare miliardi di dollari alla potente e ancor più preveggente Goldman Sachs, un’entità che non rischia certo di fare la fine della rivale, ma che ha davanti a sé un futuro molto incerto, soprattutto se le donne e gli uomini impegnati nel Dream Team del nuovo inquilino della Casa Bianca decideranno di accendere un faro sull’operato di Goldman a partire dal 2006, un anno di grande importanza perché vede il passaggio del testimone tra Hank Paulson, opportunamente spedito a fare il ministro del Tesoro a stelle e strisce e Larry Blankfein, una figura sino a quel momento di secondo piano, ma che, assieme al Chief Financial Officer, David Viniar, e validamente assistito dai due Chief Operating Officer da 70 milioni di dollari annui l’uno, si impegnerà con tutte le sue forze nella più grande vendita di titoli più o meno tossici della finanza strutturata alle altre banche di investimento e a quelle più o meno globali basate nei paesi maggiormente industrializzati, operando nel contempo come facilitatore del ‘piazzamento’ di quei micidiali Credit Default Swaps in cui si era specializzata quell’American International Group che tanti mal di testa sta procurando all’establishment politico e finanziario statunitense!

Ma la mossa che più dà il segno del diverso approccio tra i due finanzieri e i loro tardivi imitatori è rappresentata dalla chiusura della trattativa tra la Federal Deposit Insurance Corporation e il fondo di private equity controllato da Soros e dal padrone di una importante casa produttrice di personal computers, Michel Dell, One West, basato a Pasadena (California), per l’acquisizione di quel che resta della banca californiana fallita la scorsa estate e denominata IndyMac, per il prezzo di 13,9 miliardi di dollari che rappresentano il corrispettivo dei 6,4 miliardi di dollari di depositi rimasti dopo la fuga dei correntisti all’indomani del default pilotato della banca e da 20,7 miliardi di dollari di attivo, si fa ovviamente per dire, pagati a sconto 4,7 miliardi di dollari, mentre la FDIC ci ha tenuto a far sapere che l’attuale costo del salvataggio di IndyMac le è costato poco meno di 11 miliardi di dollari e che altri ne perderà per la quota parte di perdite che si è impegnata a sostenere.

Ovviamente, la nuova banca si chiamerà One West Bank e disporrà da subito delle 33 filiali di Indymac, così come si può essere certi che la nuova entità molto, ma molto difficilmente si allontanerà dall’attività bancaria tradizionale, anche perché occorrerà un bel po’ di tempo prima che i depositanti lestamente fuggiti decidano di fidarsi di nuovo e riportino i loro risparmi in quegli stessi locali che hanno visto per tanti mesi nei loro nightmares.

La virata a u rispetto alle attività proprie dell’investment banking non sta, peraltro, caratterizzando solo una media entità creditizia come quella da poco acquisita a poco prezzo da Soros e Co., ma sta avvenendo su scala molto più ampia in tutte le ex Investment Banks, ma, e forse soprattutto, in quelle banche più o meno globali ovunque basate che avevano alquanto improvvisamente di approfittare della deregolamentazione selvaggia per diventare banche universali che si ponevano apertamente in concorrenza con le allora Big Five nelle attività da casinò a cielo aperto della finanza più o meno strutturata, un’operazione di riorientamento che sta caratterizzando le principali banche statunitensi per ora sopravvissute alla tempesta perfetta così come le loro omologhe europee e asiatiche e che sta decimando le divisioni di Corporate & Investment Banking in tutto il mondo!

Ricordo che il video del mio intervento al convegno della UIL sulla crisi finanziaria è presente nella sezione video del sito dell’associazione Free Lance International Press all’indirizzo http://www.flipnews.org/ .