martedì 31 marzo 2009

Il Big Business inizia ad avere paura di Obama!


Molte cose stanno accadendo sotto il cielo all’approssimarsi dell’appuntamento del G20/G21 a Londra, previsto per giovedì prossimo e preceduto nel week end da manifestazioni di massa di no global e sindacalisti che innalzavano striscioni sui quali era scritto, in buona sostanza, che le donne e gli uomini del pianeta non sono molto disponibili a farsi carico delle alquanto drammatiche conseguenze del meltdown della finanza più o meno strutturata sull’economia reale, quella che si compone, in ultima istanza, di consumi, investimenti e tasse, ma soprattutto fortemente preoccupati per le sempre più fosche previsioni degli organismi sovra nazionali, OCSE e FMI, su redditi e occupazione nei paesi maggiormente sviluppati, per non parlare delle vere e proprie catastrofi previste nei paesi un tempo partecipanti al blocco sovietico e sui paesi in via di svilupp dell’Africa e dell’Asia.

Alla vigilia di una serie impressionante di vertici previsti al di fuori degli Stati Uniti d’America, il nuovo inquilino della Casa Bianca, Barack Obama, ha deciso di preparare il terreno al suo programma per il rilancio del tecnicamente fallito settore automobilistico a stelle e strisce, chiedendo e ottenendo dal terrorizzato Board of Directors della General Motors la testa del un tempo onnipotente Chief Executive Officer, Rick Wagoner, un personaggio di cui si ricorderà in futuro solo l’altezza (circa due metri), rigettando al contempo il molto risibile piano di rilancio che, assieme alla parimenti sussidiata e altrettanto disastrata Chrysler, aveva di recente presentato al solo fine di bussare nuovamente cassa al Congresso.

L’apertura di un forum sul web aperto direttamente a tutti i cittadini statunitensi e le recenti mosse di Obama sui bonus agli assicuratori e ai banchieri destinatari di aiuti diretti e indiretti alle entità da loro dirette per migliaia di miliardi di dollari, i diktat emessi contro le due maggiori case automobilistiche soccorse dal Tesoro, le posizioni sull’utilizzo della lotta al riscaldamento e all’inquinamento come opportunità per la creazione di milioni di nuovi posti di lavoro, l’elevazione delle tasse per i redditi superiori ai 250 mila dollari annui e la contestuale riduzione delle imposte a chi guadagna meno di tale cifra, le posizioni alquanto radicali in materia di assistenza sanitaria, sono tutti elementi che dimostrano quanto il nuovo presidente degli Stati Uniti d’America abbia chiara la necessità di distinguersi in modo molto radicale dalle posizioni della precedente amministrazione repubblicana, così come è chiara la sua consapevolezza che sulle mosse che farà in questi mesi si gioca tutte le possibilità di essere rieletto tra quattro anni!

Dopo un’apparente iniziale neutralità, il mondo delle varie Big che costellano il panorama economico e finanziario degli Stati Uniti d’America e degli altri paesi maggiormente industrializzati e altrettanto finanziarizzati, da Big Pharma a Big Oil, da Big Finance a Big Tabacco, e chi più ne ha ne metta, iniziano a dare, attraverso i vari giornalisti e opinionisti embedded alle loro efficienti truppe di assalto hobbistiche, segni crescenti di insofferenza nei confronti di un programma che sembra trasse sempre di più la sua forza dal sostegno dei davvero infuriati cittadini americani che hanno visto in questi quasi ventuno mesi di tempesta perfetta infrangersi tutti i pilastri che sostenevano l’American Dream, una furia accresciuta dalla sempre più palese irresponsabilità dei Chairman e Chief Executive Officer retribuiti a suon di milioni di dollari l’anno e liquidati, nei sempre più frequenti casi in cui vengono messi alla porta, con somme che vanno dalle decine alle centinaia di milioni di dollari, benefit e polizze assicurative, ovviamente, escluse.

Finita la molto effimera luna di miele con la parte più ricca della popolazione, a sua volta falcidiata nei suoi più o meno ingenti patrimoni dalle sempre più alte ondate della tempesta perfetta o dalle malefatte di Madoff, Stanford e compagnia cantante, si è altrettanto prontamente invertita l’effimera corsa dell’orso che tanto aveva illuso quanti continuano a non rendersi conto delle vere cause strutturali della più grave crisi finanziaria mai vissuta dal genere umano da quando esistono i mercati azionari regolamentati, anche perché ci si è resi conto che le dichiarazioni dei numeri uno di Citigroup e Bank of America sul buon andamento dei primi due mesi dell’anno in corso, sono state prontamente contraddette dalla marea di perdite sui derivati che stanno caratterizzando il mese di marzo, mandando letteralmente alle ortiche il sogno di poter avere finalmente un bilancio trimestrale in utile dopo tanti rendiconti trimestrali in profondo rosso.

Su questo non proprio esaltante scenario si inserisce il vivacissimo dibattito in corso tra i maggiori economisti americani sulla bontà o meno del piano del nuovo ministro del Tesoro volto a ripulire i bilanci delle banche e delle altre entità protagoniste del mercato finanziario statunitense, anche se anche il Dr. Doom, alias Nouriel Roubini, sembra rendersi conto che, al di là dell’indubbia incertezza sul non secondario aspetto del prezzo di acquisto dei titoli più o meno tossici della finanza strutturata, qualcosa è comunque necessario fare di fronte a quello che si presenta sempre più come un Moloch di dimensioni ancora del tutto imprecisate.

Pur non essendo in grado di esprimermi sul sempre più sofisticato livello che la diatriba sta raggiungendo, mi permetto di dire che ben difficilmente tale piano potrà avere successo se non verrà chiarito prima il modello più complessivo di intervento pubblico nelle banche, ma, e forse soprattutto, se non verrà chiarito in modo ben più dettagliato il non secondario aspetto delle dimensioni del problema, in quanto temo fortemente che la montagna da decine di migliaia di dollari dei titoli più o meno tossici in corpo alle banche di ogni ordine e grado, alle compagnie di assicurazione, ai fondi di investimento e ai fondi pensione, agli hedge funds e agli altri soggetti operanti più o meno a leva, una chiarificazione quanto mai necessaria, anche per evitare di gettare acqua in un catino dal fondo bucato!

Ricordo che il video del mio intervento al convegno della UIL sulla crisi finanziaria è presente nel sito dell’associazione FLIP all’indirizzo http://www.flipnews.org/ . Riproduzione della presente puntata possibile solo citando l’autore e l’indirizzo del blog