martedì 10 marzo 2009

Nelle pieghe del salvataggio di AIG la ragione dei guai delle banche europee!


Ho letto nel web una ricostruzione della vicenda che ha portato nel settembre dello scorso anno al salvataggio e nazionalizzazione di AIG, il colosso mondiale delle assicurazioni, che mi sembra assolutamente inverosimile e, forse proprio per questo, anche vera, anche perché se c’è una cosa che ho capito tenendo il giornale di bordo della tempesta perfetta appena entrata nel suo ventesimo mese di vita è che le cose più strane e inverosimili spesso sono quelle reali.

Ma cosa diceva questa ricostruzione apparsa su un sito finanziario italiano, ma ripresa da articoli apparsi oltreoceano, di così incredibile da farmi saltare letteralmente sulla sedia svedese posta davanti al mio computer? Semplicemente che i vertici della tecnicamente fallita compagnia americana avevano avuto la bella pensata di avere venduto alle principali europee contratti di assicurazione sul rischio di default dei loro crediti alla clientela per la bella cifra di 300 miliardi di dollari, una mossa che, come riportato nella relazione di bilancio della stessa AIG, aveva il solo scopo di alleggerire i requisiti patrimoniali delle banche europee coinvolte, una circostanza che le avrebbe messe nella peste se Paulson e Bernspan avessero lasciato fallire AIG così come avevano appena fatto ai danni di Lehman Brothers.

Come i miei lettori ricorderanno benissimo, in quelle stesse ore di metà settembre del 2008, oltre al pollice verso per Dick Fuld e la ‘sua’ Lehman e alla grazia concessa ad AIG, il rinomato trio Bush-Paulson-Bernspan benedisse anche l’acquisizione dell’altrettanto tecnicamente fallita Merrill Lynch da parte della potente ma ben poco preveggente Bank of America, il cui numero uno sta seriamente rischiando il carcere per la sua ostinazione di rifiutare al nuovo sceriffo di New York, Andrew Cuomo, la lista dei beneficiari dei bonus milionari elargiti dall’ex Chief Executive Officer di Merrill, John Thain, in anticipo non solo sui tempi consueti, ma anche qualche giorno prima che venisse formalizzato il passaggio ufficiale per una baracata di miliardi di dollari carta contro carta della ex investment bank a BofA.

Allo stato, il salvataggio della nazionalizzata AIG è già costato ai contribuenti americani centinaia di miliardi di dollari, ma che cosa accadrebbe se il nuovo inquilino della Casa Bianca decidesse di lasciare andare alla deriva la compagnia di assicurazioni o se il consiglio direttivo dell’associazione competente su tali tipi di contratti la considerasse ‘tecnicamente’ in default? Beh, credo proprio che le banche europee coinvolte dovrebbero semplicemente trovare dai rispettivi Stati di appartenenza o dal mercato quegli stessi 300 miliardi di dollari che, grazie ai buoni uffici della potente e ancor più preveggente Goldman Sachs, venivano in precedenza garantiti dai citati contratti stipulati con AIG, un’ipotesi che ha almeno il merito di spiegare il meltdown successivo delle quotazioni delle azioni delle principali banche europee in corso proprio da quell’orribile bimestre settembre-ottobre dell’anno scorso quando, come amava dire il numero uno del Fondo Monetario Internazionale, Dominique Strauss Kahn, il mercato finanziario globale era sull’orlo, e anche un po’ oltre, del precipizio, una frase che servì molto a spingere un terrorizzato G20/G21 a darsi una mossa e ad approvare a tempo di record piani di salvataggio su base nazionale megagalattici e ad assicurare non solo i depositi della clientela delle banche dei rispettivi paesi, ma anche le posizioni sull’immenso mercato interbancario!

Non ho motivo di dubitare della ricostruzione che di tutta la vicenda ha fatto un giornale autorevole come il Financial Times, anche se devo dire che se quanto ivi riportato dovesse rispondere al vero non riesco proprio a capire come i vigilatori principi delle principali banche europee, cioè i Governatori delle banche centrali e lo stesso Board of Directors della Banca Centrale Europea, stiano ancora bellamente ai loro rispettivi posti, anche perché uno scenario simile a quello sopra riportato renderebbe la storica frase del per la terza volta ministro italiano dell’Economia, Giulio Tremonti, quella “dei topi posti a guardia del formaggio”, non l’offesa bruciante che molti descrissero, ma poco più della carezza in un pugno della mitica canzone di Adriano Cementano, equiparando al contempo le molto minacciose esternazioni del leader della Lega Nord, Umberto Bossi, peraltro fatte alla presenza di un Giulio sorridente, poco più di un buffetto sulla guancia dei vigilatori e dei banchieri nostrani!

Non so proprio quale possa essere la banca italiana disposta a emettere i cosiddetti Tremonti Bonds, sì proprio quella di cui da una capitale europea ha parlato, senza farne il nome, il nostro attuale presidente del Consiglio dei ministri, ma credo proprio che non possa che essere identificata in uno dei cinque primi gruppi bancari italiani, che, da quel momento, sono stati ininterrottamente colpiti da una grandinata di vendite che non si sono fermate neppure nella seduta di ieri, con la novità della debacle dell’azione di quella Mediobanca che pure ha da tempo dichiarato che non ha alcuna intenzione di fare ricorso a questo strumento oneroso e molto condizionante di finanziamento, una dichiarazione che farà pure onore ai suoi vertici ma che non ha impedito di sfondare di un balzo verso il basso la soglia psicologica dei 5 euro, con una flessione di poco superiore al 10 per cento, mentre il Banco Popolare ne perdeva appena nove, di punti percentuali, e sfondava anche esso verso il basso la soglia dei 2 euro e la Banca Popolare di Milano si portava al di sotto della soglia dei tre euro, livelli ancora stellari per la povera Intesa-San Paolo che minaccia ogni giorno che passa di portarsi al di sotto dell’euro, come da tempo hanno fatto Unicredit Group, banca Monte dei Paschi di Siena e Unipol Gruppo Finanziario, mentre ancora si tiene al di sopra dei sei euro UBI Banca, solida aggregazione di banche del Nord, peccato che ne quotasse poco meno di 23, sempre di euro, nel maggio del 2007.

Per onore di cronaca, devo rilevare che l’unica azione bancaria di rilievo ad andare in controtendenza ieri è stata quella di Unicredit Group che ha chiuso a ben 73 centesimi, ma quotava 7,75 euro ai tempi dell’acquisizione di Capitalia!

Ricordo che il video del mio intervento al convegno della UIL sulla crisi finanziaria è presente nella sezione video del sito dell’associazione Free Lance International Press all’indirizzo http://www.flipnews.org/ .