In un alquanto disperato tentativo di smarcarsi dalle difficoltà in cui si trova da oltre un anno e mezzo, il colosso creditizio svizzero UBS ha reso noto con un mese di anticipo rispetto all’assemblea dei soci che darà il benservito al presidente molto ad interim scaturito dalla rissa verificatasi l’anno scorso, Peter Kurer, nominando al suo posto nientepopodimenoche l’ex presidente della Confederazione elvetica Kapar Villiger, una decisione che mette in luce il profondo disorientamento di un gruppo che, in concorrenza con la tecnicamente fallita Citigroup, gestisce buona parte dei patrimoni dei ricchi abitanti in un numero di paesi di poco inferiore a quelli rappresentati nell’assemblea generale della Nazioni Unite.
Dopo aver perso parecchi mesi prima di accogliere l’amichevole suggerimento dell’ex Chief Executive Officer, attualmente a capo di un nutrito numero di azionisti della banca, di tagliare al più presto la gamba malata della divisione di Corporate & Investment Banking prima che la cancrena si estendesse anche alla parte sana dell’organismo aziendale, UBS sta affrontando il momento più difficile della sua storia, in quanto non sa come rispondere alle richieste circostanziate del Federal Bureau of Investigations che, per conto di un giudice della Florida, pretende di conoscere i nomi dei 52 mila contribuenti infedeli che la banca ha alquanto disinvoltamente aiutato a sottrarsi ai propri obblighi nei confronti del fisco americano, circostanza per la quale la banca extracomunitaria ha appena accettato di pagare 780 milioni di dollari, dichiarandosi però disponibile a fornire i dati relativi a soli trecento dei suoi clienti.
Ma, come si suol dire, le disgrazie non vengono mai sole, o almeno questo è quanto devono avere pensato i membri del Board of Directors della banca svizzera, quando hanno saputo che in uno dei tanti vertici ristretti che rovinano i fine settimana dei leaders politici dei principali paesi europei (in questo caso, sei o sette) si era deciso di adoperarsi fattivamente per mettere la parola fine alla licenza di evadere dei propri rispettivi contribuenti, spesso in ciò agevolati da compiacenti istituti di credito nazionali, uno sport molto praticato e che, in piena tempesta perfetta, aggiunge al danno erariale la beffa di creare megadisponibilità, prudenzialmente stimate in settemila miliardi di dollari, che rappresentano la vera e propria hot money che alimenta a sua volta le micidiali bordate ribassiste che stanno colpendo tutto quanto ha nella sua denominazione sociale il termine bank declinato in pressoché tutte le lingue conosciute, così come nel terribile biennio 2000-2001 accadde a tutte le dot.com e alle altre stelle cadenti del Nasdaq!
Credo proprio che il famoso comitato mondiale che ha la responsabilità dell’attività di contrasto del riciclaggio di denaro sporco proveniente da diverse fattispecie di reato verrà chiamato, già nella riunione del G20/G21 che si terrà a Londra il 2 aprile prossimo venturo, ad assumere concreti provvedimenti che convincano i diversi paradisi fiscali, inclusi quelli inclusi come enclave in importanti Stati europei (Gran Bretagna, Francia e Italia), a mettersi prontamente in regole, non fosse altro che dal loro operato derivano seri rischi alla stessa sicurezza nazionali degli Stati loro vicini, che, in non pochi casi, hanno la responsabilità, via banche centrali, di assicurarsi che non avvenga quanto in realtà si verifica quotidianamente.
Ho avuto spesso modo di ricordare che UBS, You and Us! È stata seconda solo alla molto potente e ancor più preveggente Goldman Sachs nel cercare, sin dall’autunno del 2006, di liberarsi del liberabile in termini di quelli che allora erano vere e proprie galline dalle uova d’oro per le rispettive divisioni di Corporate & Investment Banking e che oggi vengono spregiativamente etichettati come titoli tossici che nessuno vuole più neanche al prezzo di dieci centesimi per dollaro, la metà, cioè, del prezzo pagato all’ineffabile John Thain da un investitore che dovette finanziare per pari importo, impegnandosi per soprammercato a riacquistarli (impegno oggi in capo, insieme alla grana dei bonus, alla altra grande banca tecnicamente fallita a stelle e strisce e che risponde al nome di Bank of America), il che mi induce a pormi doverosamente l’interrogativo su quale potesse essere l’ammontare iniziale di questa roba nell’estate dello stesso 2007, anche se credo che si tratti di un interrogativo destinato a restare senza risposta!
A questa come ad altre domande cerco di fornire risposta nelle oltre cinquecento puntate del Diario della crisi finanziaria, anche se inizio a credere che, pure essendo partito dall’analisi delle vere cause della tempesta perfetta in corso da oltre un anno e mezzo, qualche risposta può provenire dall’analisi degli effetti che la crisi sta avendo su questioni affatto marginali come la trasformazione dell’assetto geopolitico a livello globale, anche perché credo che siamo sempre di più a concordare che, alla fine della fiera, dei dieci piccoli indiani ne resterà in piedi, e più forte che pria, soltanto uno: gli Stati Uniti d’America, anche perché non me la sento di scommettere né sull’Unione europea, né sulla Cina, ne tanto meno sull’India, mentre è certo che ancor più a pezzi ne usciranno i paesi dell’America latina, quelli dell’Africa, i paesi arabi, e le sdentate tigri asiatiche.
Ma c’è una domanda che solo pochi mi hanno posto sinora ed è quella a cui è ancora più difficile rispondere: come mai solo oggi ci si pone il problema della forse eccessiva libertà di azione che è stata lasciata a David Einhorn e a quel manipolo di miliardari che ne stanno copiando pedissequamente il sistema, vendendo dal settembre 2007 a piene mani le azioni delle maggiori entità protagoniste del mercato finanziario globale, se non trasformarsi repentinamente in accaniti rialzisti quando le sonnecchianti Autorità decidono di porre limiti temporalmente prestabiliti alla possibilità di operare allo scoperto, un cosiddetto calcio di rigore a porta rigorosamente vuota che non a caso persone come George Soros e Warren Buffet, due che tutto sono fuorché due stinchi di santo, hanno dichiaratamente evitato di tirare!
Ricordo che il video del mio intervento al convegno della UIL sulla crisi finanziaria è presente nella sezione video del sito dell’associazione Free Lance International Press all’indirizzo http://www.flipnews.org/ .