lunedì 9 marzo 2009

Secondo l'Asian Development Bank, le perdita di valore delle attività finanziarie nel 2008 è stata pari a 50 mila miliardi di dollari!


Sono stati diffusi ieri i dati di una ricerca commissionata dall’Asian Development Bank sull’impatto della crisi finanziaria sul valore complessivo delle attività finanziarie, valute-azioni-bonds, nel corso dell’orribile 2008, anno bisesto e molto funesto, una ricerca dalla quale emerge che vi sarebbe stata una decurtazione di tale valore complessivo a livello globale pari alla stratosferica cifra di 50 mila miliardi di dollari, 9.600 dei quali sarebbero riferiti alla sola area asiatica di competenza dell’ADB, istituzione sovranazionale basata a Singapore, mentre sarebbe molto più modesto l’impatto sui paesi dell’America latina, area nella quale la perdita dei valore delle attività finanziarie sarebbe stata di ‘soli’ 2.100 miliardi di dollari.

Le drammatiche stime divulgate dall’ABD consentono di stimare per gli Stati Uniti d’America e le due nazioni ad essi legati nell’ambito del NAFTA (Canada e Messico) e per l’area europea complessivamente intesa (dal Regno Unito alla Russia) una perdita di valore delle attività finanziarie non inferiore ai 38 mila miliardi di dollari, ipotizzando per l’intera area africana una perdita non superiore a qualche centinaio di miliardi di dollari, un impatto di dimensioni superiore a qualsiasi valutazione precedente e che consente di comprendere meglio l’attuale meltdown nel mercato finanziario globale e il rapido estendersi del contagio, via crollo verticale della domanda effettiva e delle aspettative, all’economia reale!

Non è peraltro un caso, se le previsioni dell’ABD, così come quelle degli economisti del Fondo Monetario Internazionale e della Banca Mondiale, spostano la possibile fine della tempesta perfetta alla fine dell’anno in corso o all’inizio del prossimo, anche se va detto che si tratta di previsioni largamente dettate dal cosiddetto ottimismo della volontà, piuttosto che da un’analisi fredda e ragionata della situazione, in quanto lo studio citato non prende in considerazione le ingenti perdite del valore complessivo delle attività finanziarie intervenute negli ultimi mesi del 2007, né tanto meno quelle che si stanno accumulando in questo primo scorcio di 2009, un anno che si preannuncia peggiore di quello che lo ha preceduto, non fosse altro che per la semplice ragione che dai valori alquanto virtuali delle attività finanziarie la crisi sta cominciando sempre di più a colpire i redditi, l’occupazione e, di conseguenza, la stessa tassazione, per non parlare poi dei livelli della produzione industriale e del correlativo grado di utilizzo degli impianti.

In uno studio diffuso pressoché in contemporanea con quello dell’ABD, la Banca Mondiale ci informa che l’impatto della tempesta perfetta sul commercio internazionale è di tale entità da costringere i suoi economisti a prevedere che nel 2009 si toccherà il livello più basso degli ultimi ottanta anni, il che ci riporta, guarda caso, ai volumi toccati in quel 1929 cui fece seguito quel lunghissimo ciclo recessivo che si meritò pienamente il nome di Grande Depressione, una crisi che si protrasse fino ai primissimi anni Quaranta e dalla quale gli Stati Uniti d’America uscirono solo allo sforzo bellico senza precedenti legato alla decisione di entrare in guerra a fianco della Gran Bretagna minacciata di essere invasa dai nazisti che avevano già conquistato il resto dell’Europa.

Se si pensa che stime prudenziali valutavano, con riferimento all’inizio del 2007, lo stock della ricchezza finanziaria a livello globale, al netto del valore delle proprietà immobiliari, ad un valore di 150 mila miliardi di dollari e che buona parte degli stessi erano impiegati proprio nelle attività finanziarie sopra menzionate, si può avere un’idea alquanto sommaria della perdita incorsa nei portafogli delle istituzioni finanziarie intese in senso lato, così come in quelli dei ricchi e super ricchi inclusi nell’ampia graduatoria delle prime 1.062 posizioni (fino al minimo di un miliardo di dollari di ricchezza) stilata dalla prestigiosa rivista americana Forbes, una classifica che, ovviamente, include più di 1.062 persone, in quanto riporta innumerevoli ex equo, soprattutto ai livelli più ‘bassi’ della stessa classifica.

Ma se i ricchi piangono per la perdita di oltre un terzo delle proprie attività finanziarie già realizzatasi, i non affluenti certamente non ridono, anche perché le alte e più recenti ondate della tempesta perfetta da oggi entrata nel suo ventesimo mese di vita li sta colpendo duramente non in proporzione, come è ben testimoniato da milioni di famiglie statunitensi che hanno perso la casa, il lavoro o, in una parte rilevante di casi, li hanno persi entrambi, il che ha prodotto un passaggio pressoché istantaneo da una condizione di relativo benessere ad una di miseria assoluta che li porta spesso a vivere esclusivamente di sussidi di disoccupazione e di buoni alimentari, con l’automobile trasformata in abitazione!

L’avvitamento della crisi su sé stessa sta spingendo ad un’accelerazione dei piani dei governi volti a intraprendere strade non del tutto battute in precedenza pur di trovare una qualche via d’uscita dal pantano in cui oramai ci troviamo tutti insieme appassionatamente, piani che vengono rinforzati più o meno ogni fine settimana e che, puntualmente, vengono rivisti ogni lunedì successivo, ad onta dei trilioni di dollari o di euro impegnati o spesi, dei livelli davvero infimi raggiunti dai tassi di interesse, dei tagli a volte selvaggi delle tasse o della miriade di incentivi alla rottamazione di tutto quanto è rottamabile.

Come ho scritto più volte nelle settimane e nei mesi scorsi nel Diario della crisi finanziaria, l’esitazione nell’intraprendere con decisione la via della nazionalizzazione dei principali gruppi bancari operanti a livello più o meno globale rischia di portarci inevitabilmente verso il cosiddetto scenario giapponese che poi non è che la più evidente applicazione pratica e pluridecennale di quella intuizione di John Maynard Keynes rappresentata dalla teoria denominata trappola della liquidità, l’insensibilità cioè degli imprenditori al livello dei tassi di interesse, anche ove questo si approssimi o sia pari allo zero!

Ricordo che il video del mio intervento al convegno della UIL sulla crisi finanziaria è presente nella sezione video del sito dell’associazione Free Lance International Press all’indirizzo http://www.flipnews.org/ .