La ferma posizione di Barack Obama contro lo scandalo dei bonus per 165 milioni di dollari complessivi previsti per i top manager e i manager di American International Group, la compagnia di assicurazione destinataria di aiuti pubblici per 170 miliardi di dollari, non è piaciuta affatto agli ambienti che contano a Wall Street, al punto da determinare una brusca inversione di rotta del Dow Jones che sembrava destinato a ripetere per la quarta seduta consecutiva la serie positiva e, invece, è finito miserevolmente, seppur di poco, in rosso, un colore che forse meglio si addice alle risibili argomentazioni sulla necessità ‘legale’ di procedere al pagamento dei bonus in favore di quanti hanno contribuito a creare la possibilità del maggiore dissesto sistemico connesso proprio ai rapporti tra AIG e le maggiori banche globali.
Pur avendo ripercorso ieri quanto è avvenuto in quella drammatica serata di metà settembre dell’anno scorso, credo proprio che sia necessario tornarci sopra, anche alla luce dei dati finalmente forniti nella giornata di ieri dai nuovi vertici della maggiore compagnia di assicurazione a stelle e strisce sull’utilizzo di oltre la metà dei fondi ricevuti dal sistema della riserva federale e dal Tesoro, dati che spiegano benissimo perché si sia scelto di sacrificare la Lehman Brothers di Dick Fuld pur di ‘salvare’ l’entità dalla quale dipendevano letteralmente i destini delle maggiori banche statunitensi e di quelle di mezzo mondo.
Come ho avuto modo di spiegare in una puntata del Diario della crisi finanziaria specificamente dedicata all’argomento, l’eventuale fallimento di AIG avrebbe costretto le sole banche europee che avevano assicurato parte dell’attivo con la compagnia statunitense a reperire di corsa nuovi capitali per 300 miliardi di dollari al solo fine di mantenere inalterati i rispettivi e già malmessi TIER1, cioè quel rapporto di patrimonializzazione che,m sottoposto a stress test, normalmente si riduce a meno della metà del valore tranquillamente accettato dai cosiddetti topi posti a guardia del formaggio, come il per la terza volta ministro italiano dell’Economia, Giulio Tremonti, ebbe a definire i banchieri centrali dei paesi maggiormente industrializzati!
Se queste sarebbero state, in base a stime ufficiali assolutamente prudenziali e approssimate molto probabilmente per difetto, lascio all’immaginazione dei lettori cosa sarebbe accaduto alle due ex investment banks sopravvissute agli alti marosi della tempesta perfetta oramai in corso da venti mesi, Goldman Sachs e Morgan Stanley, o alle quattro maggiori banche universali, che rispondono ai nomi di Citigroup, Bank of America, J.P. Morgan-Chase e Wells Fargo, tre dele quali si erano, peraltro, dovute fare carico dei guai di altre grandi entità tecnicamente fallite, almeno secondo i criteri che fanno scattare i micidiali Credit Default Swaps, criteri che non tengono conto degli eventuali salvataggi ma molto più semplicemente delle stringenti regole contrattuali contenute in quei volumoni alti come un elenco telefonico che prevedono molto minuziosamente tutte le cause che fanno vincere la scommessa ai sottoscrittori di questo particolare tipo di prodotti.
Del resto, basta scorrere l’elenco dei maggiori beneficiari dell’utilizzo dei 90 miliardi di dollari forniti dalle sollecite autorità monetarie ad AIG, con riferimento temporale al 31 dicembre del 2008, per capire che l’eventuale fallimento della compagnia di assicurazioni a stelle e strisce avrebbe con ogni probabilità concretizzato quello scenario da fine di mondo evocato un mese dopo a Washington dal numero uno del Fondo Monetario Internazionale, Dominique Strauss Kahn, uno scenario che, insieme all’attivismo di Gordon Brown, convinse gli atterriti capi di Stato e di Governo del G20/G21 a varare misure di emergenza nei rispettivi paesi, quali una sostanziale assicurazione pubblica non solo dei depositi bancari, ma anche di quelli interbancari, nonché a letteralmente togliere di mezzo come trumento di valutazione ai fini contabili quel mark to market che stava bruciando i bilanci delle maggiori entità protagoniste di quel mercato finanziario globale che i presidenti della Francia e della Germania avevano bollato come del tutto impazzito.
In questo antipasto di recuperi da parte delle banche di mezzo mondo delle scommesse dalle stesse effettuate, la parte del leone la fa la potente ma ancor più preveggente Goldman Sachs, con incassi per oltre 12 miliardi di dollari allo scadere dell’anno scorso, ma si sa che si tratta di una banca talmente cara al ministro del Tesoro che vi ha operato al massimo livello per decenni da indurlo a farla partecipare alle trattative incandescenti svoltesi quella notte di metà settembre del 2008, una decisione che suscitò le ire dei banchieri non invitati e che, come Goldman, avevano in ballo ‘polizze’ per decine di miliardi di dollari, così come non furono contenti di questa preferenza anche i vertici di quelle banche che ne rischiavano solo qualcuno, sempre di miliardi di dollari!
Sarà un caso, ma la lista apparsa nel pieno del furore della bagarre politica sugli oltraggiosi bonus dei dirigenti di AIG è prontamente scomparsa dai siti che l’avevano pubblicata, ma, avendola opportunamente stampata, posso dire che la sola Socgen ne ha ricevuti oltre 11 di miliardi, così come la tedesca e molto malmessa Deutsche Bank, ma non sono rimaste a bocca asciutta Bank of America, che, sommando i suoi recuperi a quelli dell’acquisita Merrill Lynch, ne ha ricevuti 12 di miliardi, solo qualche centinaio di milioni meno di Goldman, J.P. Morgan, Morgan Stanley, Citigroup, Wells Fargo, UBS, Barclays e via discorrendo.
Così come la lista dei beneficiari, credo sarebbe difficile, sempre per chi non se ne è fatta copia, reperire i testi degli articoli che testimoniavano della pretesa avanzata dal solito Hank Paulson quando si discuteva in Congresso del suo piano di salvataggio nell’ottobre del 2008, quella cioè di ottenere per sé stesso una sorta di totale immunità penale per le scelte che avrebbe compiuto nell’utilizzo della prima tranche dei 700 miliardi di dollari previsti dal TARP, immunità che, purtroppo per lui, non riuscì a ottenere!
Ricordo che il video del mio intervento al convegno della UIL sulla crisi finanziaria è presente nella sezione video del sito dell’associazione Free Lance International Press all’indirizzo http://www.flipnews.org/ .