Non so se Barack Obama abbia fatto confusione tra le due trasmissioni televisive cui ha partecipato di recente, quella satirica condotta da un italoamericano di origini irpine e quella stessa Sixty Minutes nella quale è apparso ieri a pochi giorni di distanza dall’alquanto incredibile performance di Bernspan, ma è certo che ho trovato più esilaranti le risposte fornite dall’inquilino della Casa Bianca all’intervistatore della trasmissione seria, di quanto mi abbiano fatto ridere le battute un po’ precotte nel talk show notturno registrato in California.
Ma quello che più mi ha colpito è la strenua difesa del nuovo ministro del Tesoro, ma vecchia volpe dello stesso dicastero che ora si trova a dirigere e fino a poche settimane orsono potentissimo presidente della Fed di New York, anche perché si tratta del quarto intervento pubblico di Obama in difesa di Timothy Geithner nel giro di una settimana, un livello di solidarietà del tutto inusuale per un presidente appena insediatosi e che ha dovuto, per molto meno di quanto viene imputato a Tim, rinunciare alla collaborazione di parecchi ministri finiti nel mirino della stampa o dell’opposizione, in qualche caso di entrambe.
Certo, la nomina di Geithner al Tesoro era una delle mosse più scontate nel difficile lavoro che ha portato alla formazione della nuova amministrazione a stelle e strisce, non fosse altro per il fatto che il coetaneo del presidente è l’unico ad avere partecipato, insieme al suo predecessore Paulson e a Bernspan, a tutte le operazioni di salvataggio effettuate durante il primo anno e mezzo della tempesta perfetta, quello gestito dall’amministrazione Bush, oltre a essere stato il gestore della più ampia discarica a cielo aperto di titoli più o meno tossici della finanza strutturata che il sistema della riserva federale ha accettato di ricevere, seppure su base temporanea, dalle banche di investimenti e da quelle più o meno globali, fornendo loro denaro contante pressoché alla pari.
Non so come Geithner abbia preso le chiare parole di Obama alla circostanziata domanda dell’intervistatore sulla sua sorte: “Se presentasse le dimissioni, gli direi che mi dispiace, ma deve ancora completare il suo lavoro!”, parole che suonano più come un licenziamento a certo tempo data che come una condivisione delle responsabilità che l’agguerritissima opposizione repubblicana, i media scatenati e la maggior parte dei bloggers più seguiti in materia economica muovono a uno dei suoi principali collaboratori, non solo e non tanto sull’oltraggiosa questione dei bonus per i dirigenti della banche o della altre entità protagoniste del mercato finanziario che hanno ricevuto centinaia di miliardi di dollari di capitali pubblici e sono state sollevata dal peso dei titoli tossici per alcune migliaia di miliardi che l’ineffabile Bernspan ha candidamente confessato di avere alquanto allegramente stampato al fine di evitare che accadesse il peggio e, cioè, un’ondata di fallimenti a catena di banche e compagnie di assicurazione USA che avrebbero condotto nel baratro le loro omologhe europee e asiatiche!
D’altra parte, non vorrei che il giusto risentimento dei cittadini americani per gli oltre venti miliardi di dollari di premi che sono piovuti sulle teste di quelli che, a torto o a ragione, ritengono essere i maggiori responsabili del meltdown della finanza e dell’economia reale, servisse, in realtà, per lasciar passare sotto silenzio quella parte di lavoro sporco che ancora Geithner e Bernspan devono fare per evitare che il rischio di default sistemico evitato quasi per miracolo nel mese di ottobre del 2008 si ripresenti in modo ancora più grave nelle prossime settimane o nei prossimi mesi, non fosse altro che uno dei principali problemi evidenziati dalla tempesta perfetta, quello della persistenza di una montagna di enormi dimensioni di titoli della finanza strutturata, nonché quella dei Credit Default Swaps, è stato affrontato solo in minima parte.
Non vorrei essere considerato una versione contemporanea della povera Cassandra, non fosse altro per il motivo che non ho alcuna voglia, né alcuna possibilità, di insidiare la posizione del Dr. Doom, al secolo Nouriel Roubini, ma non posso tacere sul rischio che il piano da un trilione di dollari che Geithner dovrebbe presentare nei dettagli domani rischia di essere una riproposizione vitaminizzata del famoso Master Liquidity Enhance Conduit che l’ex (?) investment banker Hank Paulson propose tra squilli di trombe e suon di fanfare nel lontano settembre del 2007, un piano da cento miliardi che almeno aveva il merito di essere basato sullo sforzo congiunto di Citigroup, Bank of America e J.P. Morgan-Chase, le tre entità creditizie private che si guadagnarono così sul campo l’eterna riconoscenza delle terrorizzate autorità monetarie statunitensi, ma che, dopo avere occupato per settimane le prime pagine dei quotidiani finanziari e non, naufragò miserevolmente tre mesi dopo, notizia molto inquietante che la stampa più o meno embedded relegò in microscopici trafiletti.
E’ dal settembre del 2007 che ripeto che è inutile fare confronti con le crisi precedenti, 1929 e dintorni compresi, per il semplice motivo che non si era mai visto sulle magiche e progressive sorti della finanza globale un macigno di dimensioni più o meno equivalenti dello stock della ricchezza finanziaria globale, con l’aggravante non da poco rappresentata dal fatto che questa stessa valutazione rischia di essere stimata per difetto a causa del fatto che, venti mesi dopo, non esiste una mappa affidabile di tutti i rischi nascosti nelle pieghe del sistema, né è possibile calcolare in modo esatto i micidiali contraccolpi di quella vasta area del mondo che non è stato, né ragionevolmente sarà, messo in sicurezza per assoluta mancanza di mezzi e altrettanta assenza di volontà politica da parte delle potenze del G20/G21, constatazione che mi ha indotto qualche settimana orsono a sostenere che, al di là delle più che prevedibili mosse a effetto, il prossimo vertice che si svolgerà a Londra il 2 aprile prossimo venturo non sarà assolutamente in grado di trovare soluzione a un problema che si presenta davvero di impossibile soluzione.
Ricordo che il video del mio intervento al convegno della UIL sulla crisi finanziaria è presente nella sezione video del sito dell’associazione Free Lance International Press all’indirizzo http://www.flipnews.org/ .
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