Con l’ammissione di colpevolezza da parte di Bernard L. Madoff per tutti e undici i capi di accusa si è aperto e repentinamente chiuso il processo a carico dell’ex presidente del Nasdaq, nonché uno dei tre maggiori broker operante su quel mercato azionario, anche se, sulla base dell’alquanto originale rito giudiziario a stelle e strisce, soltanto a giugno conosceremo la sentenza che potrebbe anche essere di una condanna a 150 anni di carcere, un po’ troppi perché il settantenne finanziere che ha replicato davvero alla grande lo schema di Ponzi possa sperare si uscire vivo dalla più o meno confortevole cella del carcere al quale verrà associato in via definitiva.
Anche i tre mesi che lo separano dal verdetto, Madoff dovrà trascorrerli in cella, in quanto il giudice ha ritenuto che non fosse proprio il caso di consentirgli un’uletriore permanenza nella lussuosa Penthouse sita in una delle parti più esclusive dell’isola di Manhattan, una misura resasi necessaria non solo e non tanto per il concreto pericolo di fuga dell’imputato, quanto volta a garantirgli una possibilità di sopravvivenza più concreta di quella assicuratagli ieri da un giubbotto antiproiettile gentilmente fornitogli dalle autorità che temevano seriamente che qualcuno dei miliardari da lui ridotti letteralmente sul lastrico potesse decidere di farsi giustizia con le proprie mani!
Lasciando Madoff alle sue prigioni, veniamo alla vera e propria guerra delle parole ufficialmente aperta martedì dal giovane Chief Executive Officer di Citigroup, Vikram Pandit, e ripresa ieri dal collaudatissimo numero uno di Bank of America che ha avuto modo anche lui di rendere noto al mondo che la sua banca sarebbe tornata in attivo, presumibilmente sempre con riferimento ai risultati dei primi due mesi dell’anno in corso, ma anche lui omettendo qualsiasi riferimento alle appostazioni necessarie per far fronte alla liquefazione dei titoli più o meno tossici della finanza strutturata e al deterioramento progressivo della cosiddetta qualità del credito.
Pur non sottovalutando l’impatto positivo sui conti dei due colossi creditizi a stelle e strisce derivante dalle ripetute iniezioni di capitali pubblici e dall’ancora più provvidenziale passaggio a rischio dei contribuenti di titoli tossici per ben seicento miliardi di dollari, credo proprio che un altro aiutino a Citi e BofA sia venuto dalla decisione presa con la pistola alla tempia dal G20/G21 svoltosi nell’orribile mese di ottobre del 2008, decisione relativa all’eliminazione della necessità di effettuare quella valorizzazione mark to market dei titoli della finanza strutturata che aveva prodotto infiniti lutti alle banche più o meno globali ovunque basate, una misura che ha reso certamente meno traparenti i bilanci delle banche e delle compagnie di assicurazione, ma che rischia di trasformarsi in un boomerang sui bilanci che verranno resi noti in un futuro non remoto.
A conferma della sua fama di uomo prudente, il numero uno della ben più solida J.P. Morgan Chase, James Dimon, si è astenuto da commenti sulle performance bimestrali della banca da lui guidata e che non del tutto a caso capitalizza più di Citi e BofA messe assieme, limitandosi ad affermare che si registrano cauti segnali di minor tensione nell’economia americana.
Ma quello che ha impresso una decisa virata in positivo di una seduta apertasi in Europa sotto non proprio buoni auspici è stata la perdita di un solo livello del rating del gigante delle utilities americane General Electric, un conglomerato che è anche, è bene ricordarlo, un gigante finanziario, una decisione, quella presa da Standard & Poor’s molto, ma molto più blanda di quella attesa dagli analisti e dagli operatori, che temevano un declassamento più drastico e che sono stati anche rassicurati da una nota della stessa agenzia di rating che li ha informati che non prevede di dover effettuare ulteriori declassamenti della società.
In un simile scenario, poco importa se la ricchezza dei milionari di tutto il mondo riportata dalla prestigiosa rivista Forbes si è bruscamente ridotta da 4.200 a 2.400 miliardi di dollari, né che, come ha ricordato ieri uno studio della Federal Reserve, la ricchezza dei cittadini americani sia scesa nell’ultimo trimestre del 2008 del 9 per cento, una flessione quale non si registrava da cinquanta anni, chiarendo che il riferimento temporale coincide perfettamente con la data di avvio di tale rilevazione da parte della stessa Fed, notizie certamente sovrastate dal calo sorprendentemente esiguo delle vendite al dettaglio nel mese di febbraio, calate soltanto dello 0,1 per cento, mentre le vendite di carburanti sono salite di ben il 3,4 per cento.
A quanto pare, gli operatori e gli investitori non hanno dato molto peso all’ennesimo dato catastrofico sulle nuove richieste settimanali di sussidi di disoccupazione, che continuano imperterrite a mantenersi a livelli oscillanti intorno alle 650 mila unità, mentre il dato cumulato supera oramai i cinque milioni di donne e uomini in carne e ossa, il che non è proprio di buon auspicio anche alla luce del fatto che in ben quattro Stati il tasso di disoccupazione è giunto a un valore a due cifre.
Come era largamente prevedibile dopo la coraggiosa mossa del nuovo amministratore delegato del Banco Popolare ed ex top manager della gloriosa Banca Commerciale Italiana, Pier Francesco Saviotti, il ghiaccio esistente tra i principali gruppi bancari italiani e il per la terza volta ministro italiano dell’Economia, Giulio Tremonti si è definitivamente rotto, come è ben testimoniato da voci fatte sapientemente filtrare da Piazza Cordusio, sede di Unicredit Group, tendenti ad accreditare una richiesta di 2-2,5 miliardi alle autorità austriache e una di un miliardo tondo al ministero dell’Economia italiano, una richiesta alla quale si aggregheranno, presumibilmente entro il fine settimana, altre quattro o cinque banche, decisioni chiaramente influenzate dalle parole pronunciate mercoledì sera da Silvio Berlusconi all’indirizzo dei banchieri presenti ad una cena offerta dal premier.
Ricordo che il video del mio intervento al convegno della UIL sulla crisi finanziaria è presente nella sezione video del sito dell’associazione Free Lance International Press all’indirizzo http://www.flipnews.org/ .