venerdì 20 marzo 2009

Un ramo del Congresso USA approva a tempo di record l'aliquota del 90 per cento sui bonus!


Con una schiacciante maggioranza, la Camera dei Rappresentanti statunitensi ha deliberato ieri l’imposizione fiscale retroattiva della quasi totalità di tutto quanto percepito dai quattrocento executives di American International Group a titolo di bonus, una misura che il dispositivo di legge approvato estende a tutte le entità protagoniste del mondo della finanza che hanno ricevuto aiuti pubblici in misura rilevante nel corso degli ultimi mesi, il che spiega anche il bel gesto compiuto da alcuni dei beneficiari che, come ha raccontato nella sua drammatica audizione al Senato il povero Edward Liddy, il nuovo Chief Executive Officer di AIG che si è preso la briga di tirare fuori dai guai la tecnicamente fallita compagnia di assicurazione statunitense per il simbolico compenso di un dollaro all’anno.

Come ho ripetutamente scritto nelle oltre cinquecento puntate del Diario della crisi finanziaria, quella dei premi più o meno milionari destinati ai vertici e ai dipendenti delle diverse entità protagoniste del mercato finanziario globale è una questione strettamente legata a quella supremazia dei manager sugli azionisti che è divenuta la costante della maggior parte delle corporations americane operanti nei più svariati settori, una supremazia che spesso si è trasformata in qualcosa di molto peggio e che ha chiaramente contribuito a confondere i risultati di breve e brevissimo periodo con quei valori legati alla sostenibilità nel medio e lungo termine degli stessi, spesso ignorando apertamente i contraccolpi negativi delle scelte assunte in precedenza attraverso una sistematica opera di disinformazione degli stakeholders facilitata dai continui cambiamenti nel perimetro aziendale di riferimento dovuti alle continue aggregazioni.

Per essere davvero efficace, il provvedimento appena varato dai deputati, e che molto presumibilmente verrà fatto proprio a tempo di record dai senatori, dovrebbe essere retroattivo almeno al 1° gennaio del 2008, includendo, quindi, anche i premi relativi all’esercizio 2007, ma credo che, anche estendendo opportunamente l’efficacia temporale del provvedimento, questo non farebbe che colpire gli effetti e non le vere cause della tempesta perfetta oramai in corso da venti mesi, cause che, come non mi stancherà mai di ripetere, affondano le loro radici nei concomitanti fenomeni di finanziarizzazione, globalizzazione e deregolamentazione selvaggia avviati a metà dei riuggenti anni Ottanta, nonché nella quasi ventennale gestione della politica monetaria attribuibile a quello che è certamente il più longevo tra i presidenti del sistema della riserva federale, nonché punto di riferimento di Bernspan, e cioè il cattivo maestro Alan Greesnspan che si fece le ossa risolvendo il crollo di borsa dell’ottobre 1987 inondando letteralmente di liquidità il mercato e impedendo il fallimento di quelle entità che avevano creato la prima bolla speculativa della nuova era della finanza più o meno globale.

Pur essendo un suonatore discreto di clarinetto piuttosto che un pifferaio magico, Greenspan riuscì davvero a incantare stuoli di analisti, commentatori, economisti, tutte persone che, almeno allora, non erano in modo così smaccato embedded alle truppe corazzate delle banche di investimento e di quelle più o meno globali, ma che volevano a tutti i costi credere nel nuovo mito di una crescita pressoché perenne che avrebbe consentito, se solo i paesi maggiormente industrializzati lo avessero voluto, effettuare un gigantesco take over del disgregatesi sistema socialista imperniato sull’allora ancora in vita Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche, così come far convivere la crescente globalizzazione e la conseguente delocalizzazione con crescenti livelli di reddito, di occupazione, di sistemi di sicurezza sociale nei paesi facenti parte dell’esclusivo club denominato G7.

Non sono molti quanti si chiedono cosa avverrà dopo che, con le decisioni assunte l’altro ieri dal Federal Open Market Committee, le risorse finanziarie impegnate dagli Stati Uniti d’America per contrastare i disastrosi effetti della tempesta perfetta hanno raggiunto la stratosferica somma di diecimila miliardi di dollari, una cifra che, pur facendo i debiti rapporti tra il debole dollaro odierno e quello che veniva scambiato negli Anni della Grande Depressione, appare del tutto senza precedenti nella storia economica conosciuta e che è in larga parte dovuta alle stamperie federali più che al collocamento di titoli rappresentativi del debito pubblico.

Come ha avuto modo di ricordare in una recentissima apparizione televisiva lo stesso Bernspan, il vero problema è rappresentato dalla velocità con la quale le autorità monetarie dreneranno l’immensa quantità di moneta aggiuntiva quando “il cavallo riprenderà a bere”, anche perché, in caso contrario, il rischio di entrare in uno scenario di iperinflazione appare essere altissimo, non fosse altro che per il fatto che una simile tempestività richiederebbe l’esistenza di un sistema di sensori in grado di anticipare il punto di svolta effettivo della crisi, ma, allo stesso tempo, in grado di non spegnerla sul nascere, per non parlare della millimetrica esattezza che dovrà caratterizzare la scelta dei tempi e delle quantità nel percorso inverso da percorrere allora in materia di tassi di interesse!

Nei tantissimi colloqui che sto avendo con addetti ai lavori, ho avuto modo di verificare che il gigantesco giro di carta in corso da decenni aveva una correlazione ben poco stretta con l’offerta effettiva di credito, in quanto le invenzioni degli apprenditi stregoni delle immense fabbriche prodotto delle Investment Banks e delle banche più o meno globali servivano, in realtà, a realizzare una moltiplicazione di titoli ad uso e consumo di altre entità finanziarie similari alle emittenti o dei fondi di investimento e dei fondi pensione, mentre inducevano solo un marginale incremento dell’offerta effettiva di credito, il che non significa assolutamente che non assisteremo a un credit crunch di dimensioni significative, ma soltanto che il razionamento del credito non sarà delle stesse proporzioni che si potrebbero ipotizzare a partire dallo scoppio delle tre gigantesche bolle speculative cui stiamo assistendo in questi mesi, il che non sarà di grande consolazione, ma è pur sempre qualcosa.

Ricordo che il video del mio intervento al convegno della UIL sulla crisi finanziaria è presente nella sezione video del sito dell’associazione Free Lance International Press all’indirizzo http://www.flipnews.org/ .