martedì 11 agosto 2009

Ma quelli di BofA e Citi sono profitti o perdite?

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Il maggiore dettaglio sull'utile di Bank of America nel secondo trimestre incluso nelle informazioni inviate alla Securities & Exchange Commission confermano che quelli che sono stati presentati come utili sono in realtà delle perdite, per di più in presenza di accantonamenti eccezionali che la dicono lunga sull'effettivo stato di salute del colosso creditizio a stelle e strisce, un motivo di più per riproporre la puntata del Diario della crisi finanziaria apparsa oltre un mese fa e nella quale, pur in presenza di dati meno analitici, si anticipava in buona sostanza quanto è emerso soltanto nella giornata di ieri, lunedì 10 agosto.
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Sperando di non avere tediato i miei lettori con la lunga saga della potente ma ancor più preveggente Goldman Sachs che ha occupato tre puntate del Diario della crisi finanziaria, per la quale ho tratto spunto dalla diffusione dei dati relativi al secondo trimestre, mi tocca ora analizzare i risultati delle due maggiori banche universali a stelle e strisce, Bank of America e Citigroup che, assieme alla J.P. Morgan-Chase, hanno comunicato al mercato i loro rispettivi bilanci trimestrali, rendiconti che si chiudono con un utile di 2,4 miliardi di dollari la prima e di 4,2 miliardi di dollari la seconda, un ritorno all’utile che, purtroppo, è solo apparente e che non lascia ben sperare rispetto alla capacità delle due banche di ripagare in tempi rapidi i 90 miliardi di dollari che hanno ricevuto dal Tesoro statunitense.

Prima di entrare nei dettagli, devo dire che, per la prima volta da quando calca le scene governative, sono perfettamente d’accordo con l’analisi che il capo dei consiglieri economici di Obama, Larry Summers, ha fatto in relazione ai risultati resi noti dalle prime quattro banche statunitensi, in particolare quando afferma che “non vi è alcuna istituzione finanziaria che sarebbe stata in grado di riportare risultati positivi quali quelli che abbiamo visto nello scorso trimestre se non vi fosse stato l’eccezionale supporto straordinario messo in atto dal Governo”, anche se trovo francamente eccessivo il riferimento ai risultati positivi, per la semplice ragione che, al netto delle poste straordinarie e del più favorevole regime fiscale, sia Bank of America che Citigroup hanno, in realtà, chiuso anche il secondo trimestre in perdita, mentre il cosiddetto costo del credito è nuovamente cresciuto in entrambi i casi.

Come si evince dallo stesso comunicato stampa del colosso del credito newyorkese, infatti, Citigroup ha chiuso i conti del secondo trimestre con una perdita prima delle tasse esattamente identica all’utile segnalato dopo la contabilizzazione della plusvalenza realizzata con la vendita di Smith Barney per 11 miliardi di dollari e i minori oneri fiscali (4,2 miliardi di dollari in entrambi i casi), il che vale a dire che, come oramai da diversi trimestri, la banca guidata da Vikram Pandit continua a distruggere ricchezza a causa di svalutazioni e messe a perdita di crediti per 12,4 miliardi di dollari, una cifra che supera di oltre un miliardo di dollari quella segnalata nel primo trimestre di quest’anno, mentre appare difficilmente ripetibile il pur significativo miglioramento dei risultati dell’investment banking, largamente influenzati dalla corsa dell’orso e dall’attività di trading su valute e materie prime energetiche.

Ancora più significativi gli accantonamenti, le messe a perdita e le rettifiche su crediti e altre voci dell’attivo operate da Bank of America, una nuova voragine che supera i 22 miliardi di dollari e che, oltre a superare significativamente il costo del credito segnalato nel primo trimestre, si accompagna a previsioni tutt’altro che positive per i trimestri a venire sia con riferimento agli ulteriori default nel settore immobiliare che all’abnorme livello dei delinquency rates (12,5 per cento) raggiunto nel comparto delle carte di credito.

Anche nel caso della banca guidata da Ken Lewis l’utile evidenziato si trasformerebbe in perdita ove venissero esclusi proventi straordinari e le modifiche nel regime fiscale, anche se ‘solo’ per un miliardo circa di dollari, ma la banca appare molto più vulnerabile della sua rivale per il perdurante meltdown immobiliare per il semplice motivo che, dopo l’acquisizione di Countrywide, vanta la di gran lunga maggiore quota di mercato nel mortgage a stelle e strisce, una posizione che, almeno di questi tempi, è tutt’altro che invidiabile!