Chi ha avuto modo di leggere le prime pagine dei quotidiani usciti il 14 e il 15 agosto si sarà accorto della ben diversa intonazione dei titoli e dei commenti dedicati alla tempesta perfetta in corso sui mercati finanziari da oltre due anni, in quanto, mentre alla vigilia di ferragosto era tutto un peana intonato allo scampato pericolo e ai frazionali recuperi trimestrali del PIL tedesco e di quello francese nel secondo trimestre, i toni e gli accenti cambiavano radicalmente il giorno successivo, a causa di chiari e inequivocabili segni di deflazione sia la di qua che al di là dell’Oceano Atlantico, segno inequivocabile che all’appello della tanto sospirata ripresa continuano a essere assenti proprio quelli che dovrebbero esserne i protagonisti: i consumatori!
In diverse puntate del Diario della crisi finanziaria ho cercato di mettere in luce questa resistenza dei consumatori, in particolare di quelli statunitensi, a rispondere con entusiasmo alle sirene delle grandi catene di distribuzione che non sanno davvero più che cosa inventare per vendere, commercianti all’ingrosso e al dettaglio che, peraltro, sembrano non crederci più di tanto neanche loro, almeno a giudicare dal fatto che sono dieci mesi di fila che le scorte a ogni livello della catena della distribuzione continuano a calare e lo fanno anche nei mesi in cui vi è variazione positiva delle vendite, forse perché chi dovrebbe riempire i magazzini sa bene che questi sussulti sono dovuti alle sempre più aggressive campagne di saldi e sono quindi difficilmente replicabili.
Sarebbe peraltro alquanto difficile che il consumatore medio, anche quella variante estremamente sconsiderata e aggressiva rappresentate dalle cicale a stelle e strisce, possa decidere di cambiare atteggiamento in presenza di tassi di disoccupazione a livelli record, di un mercato immobiliare che continua ad avvitarsi su se stesso, di una restrizione del credito che colpisce in modo sempre più deciso sia le imprese che le famiglie, un cambiamento che, anzi, almeno stando ai dati statistici più recenti, sta diventando ancora più cauto ora che nei momenti peggiori della tempesta perfetta, come, a esempio, nell’ottobre del 2008 e nel marzo del 2009, i due mesi che hanno segnato i punti di minimo di questi due anni.
La vera novità sta nel fatto che di questa contraddizione tra le dichiarazioni degli ottimisti a un tanto al chilo e i comportamenti reali di imprese e famiglie sembrano essersene accorti anche coloro che operano nei mercati azionari, come è ben testimoniato dall’ultima seduta della settimana scorsa e da quella che ha aperto la presente ottava, una brusca inversione di rotta rispetto a quanto accaduto nelle sedute precedenti che avevano fatto segnare agli indici statunitensi i massimi di questo davvero strano 2009.
Devo dire per onestà intellettuale che anche nella giornata nella quale governanti e banchieri centrali si producevano in dichiarazioni molto ottimistiche non sono mancate voci, in molto casi autorevoli, fuori del coro, tra le quali credo sia giusto citare quella del premio Nobel per l’economia, Spence, che cercavano di mettere in guardia risparmiatori e investitori dal fare affidamento sia sulle variazioni congiunturale del prodotto interno lordo, sia sui rendiconti trimestrali delle banche globali che accompagnano risultati spesso brillanti in larga misura determinati dal trading e dalla ripresa della finanza strutturata a stati patrimoniali ancora in situazione di emergenza estrema, anche se so benissimo che toccherà a questi economisti la stessa sorte dei loro predecessori, nel migliore dei casi etichettati come Dottor Disgrazia, così come è del tutto evidente che i commenti di queste due giornate pesanti sui mercati borsistici parleranno di prese di beneficio e di storno in attesa di nuovi rimbalzi!