Sono trascorsi esattamente due anni da quando un alto dirigente della Banca Centrale Europea, l’italiano Papadia, diede la disposizione di inondare il mercato interbancario con una massa di liquidità che superava largamente quanto venne messo a disposizione delle banche all’indomani dei tragici fatti dell’11 settembre del 2001, una decisione che prese dopo avere sentito telefonicamente i membri del Board e determinata dal fatto che le oltre 46 banche operanti sull’euribor rifiutavano di prestarsi denaro tra di loro.
Come è noto, l’intervento massiccio della BCE e delle altre banche centrali dei maggiori paesi industrializzati non fu in grado di riportare alla normalità i rispettivi mercati interbancari, per la semplice ragione che le banche attingevano a piene mani da quella abbondante offerta di liquidità, ma continuavano a guardarsi bene dal farla uscire dai più o meno ampi confini dei loro rispettivi gruppi, quasi avessero riscoperto all’unisono quel rischio di controparte che da lunghissimo tempo non veniva più prezzato tra le banche di standing internazionale.
Le cause che erano alla base di questo più che evidente clima di sfiducia reciproca sono troppo note ai lettori del Diario della crisi finanziaria perché sia necessario tornarvi sopra, ma in quel momento la stampa e la maggior parte degli esperti mise sul banco degli imputati alcuni milioni di cittadini statunitensi che avevano fatto ricorso ai cosiddetti mutui subprime senza avere i requisiti reddituali e patrimoniali per fare fronte ai propri impegni, che, sia detto per inciso, erano congegnati in modo tale da crescere in modo molto significativo dopo un periodo di grazia che oscillava tra i due e i tre anni.
Solo nei mesi successivi fu chiaro che, di per sé, una simile causa avrebbe al più potuto fare il solletico a un sistema finanziario globale caratterizzato da dimensioni infinitamente multiple e da una solidità certificata dalle maggiori agenzie di rating internazionali, nonché dalle stesse banche centrali istituzionalmente chiamate a garantire, tempo per tempo, il corretto funzionamento dei rispettivi sistemi creditizi.
La verità, purtroppo, stava altrove e le vere cause della tempesta perfetta risiedevano in tre concomitanti fenomeni che avevano iniziato a manifestarsi in maniera significativa sino dalla metà degli anni Ottanta e che prendono il nome di finanziarizzazione, globalizzazione e deregolamentazione selvaggia, ma anche in questo caso mi fermo ai titoli per non mettere a dura prova la pazienza dei lettori.
Sarebbe bastato riflettere sulla durata e l’evoluzione, spesso caratterizzata da tassi di crescita esponenziali, per capire che quella che fu presto battezzata come la più grave crisi finanziaria del secondo dopoguerra mondiale non avrebbe potuto risolversi in tempi brevi, anche se temo che sino al terribile bimestre settembre-ottobre del 2008 ben pochi avessero previsto che, oramai entrati nel terzo anno di vita della tempesta perfetta e dopo avere speso o impegnato somme per decine e decine di migliaia di miliardi di dollari, nessuno sia in grado di prevedere con sufficiente esattezza quando avrà inizio la ripresa economica.
Per quel poco che credo di avere capito dopo poco meno di settecento puntate del Diario della crisi finanziaria, temo sinceramente che la tempesta perfetta avrà fine solo quando saranno state modificate in modo significativo le regole del gioco della finanza globale!