giovedì 6 agosto 2009

I timori di Herr Ackermann! (quarta e ultima parte)


Oltre ai mutui di propria pertinenza e al più o meno notevole carico derivante da quello che trovavano nelle banche che hanno acquisito in questi due anni di tempesta perfetta, la maggior parte delle banche statunitensi si trovò improvvisamente nei guai quando, pressoché contemporaneamente, fecero ricorso alla protezione della legge fallimentare alcune decine di finanziarie che, in base a stringenti e chiare previsioni contrattuali, avrebbero dovuto riprendersi i pacchetti di mutui da loro venduti alle banche di ogni ordine e grado, non solo statunitensi, nel caso che i delinquency rates avessero superato livelli incommensurabilmente meno elevati di quelli raggiunti nel giugno di quest’anno.

Ma quello di cui ancora non si parla molto è il crescente fenomeno di ritardo nei pagamenti dei mutui commerciali, un segmento che sfiora i 7 mila miliardi di dollari e che presenta un delinquency rate pari al 7 per cento dell’outstanding complessivo, poco meno di 500 miliardi di dollari, per una parte dei quali le banche non possono neanche rivalersi sul bene finanziato ma solo su un collaterale di non sempre facile esigibilità.

Come nel caso dei mutui residenziali, anche in quello dei mutui commerciali le prospettive non appaiono rosee in presenza del perdurante calo di attività economica e del previsto raggiungimento a breve della soglia psicologica del 10 per cento del tasso ufficiale di disoccupazione, elementi questi che non aiutano certo l’apertura di nuovi centri commerciali o di nuovi uffici, mentre non passa giorno che non vengano annunciate riduzioni di punti vendita, di uffici e stabilimenti industriali.

Non mi soffermerò sul problema delle sofferenze bancarie legate alla chiusura di aziende industriali e di servizi, un tema che ha visto l’opinione pubblica concentrata sulle eclatanti vicende legate ai due colossi dell’auto a stelle e strisce entrati, e per fortuna rapidamente usciti, dalla procedura fallimentare, ma che, purtroppo, riguarda tantissime aziende di medie e piccole dimensioni, anche se il rischio maggiore è legato a quelle imprese che sinora hanno retto in attesa di una ripresa che viene continuamente rinviata nel tempo.

Dietro le preoccupazioni del numero uno di Deutsche Bank e dei suoi colleghi operanti al di qua o al di là dell’Oceano Atlantico, in non pochi casi su entrambe le sponde e anche nel resto del mondo, non vi sono solo le prospettive dell’economia e del sistema bancario negli Stati Uniti d’America, in quanto, mutatis mutandis, il problema del crescente livello delle sofferenze bancarie sta togliendo il sonno anche ai banchieri europei, che, in aggiunta, hanno specifiche preoccupazioni relative all’esposizione nei confronti dei new comers dell’Unione europea e di altri paesi emergenti che, come è noto, sono sprovvisti delle garanzie governative previste negli altri paesi membri dell’Unione, così come negli USA, in Giappone e in numerosi altri paesi.

Con questa puntata, si conclude questa breve serie, che sarà proposta domani in una versione adatta per essere stampata, mentre nei giorni successivi verranno riproposte le versioni friendly della serie di puntate che ho presentato nel corso degli ultimi dodici mesi, cosa che faccio ogni mese per quella intitolata “Le conseguenze economiche di Silvio Berlusconi”, al termine delle quali riprenderà la cronaca quotidiana della tempesta perfetta.

Auguro a tutti di trascorrere delle buone vacanze!