Dopo un lunghissimo braccio di ferro con il fisco statunitense, UBS, You & Us ha deciso di fornire i nominativi dei detentori statunitensi di oltre 4.400 conti presso sue filiali e affiliate poste al di fuori degli Stati Uniti d’America, una decisione che deve essere costata davvero molto al governo di Berna e ai vertici del colosso creditizio svizzero che, al pari delle altre banche della Confederazione elvetica, ha sempre fatto del rigoroso rispetto del segreto bancario un proprio carattere distintivo, un segreto dietro il quale si celano fenomeni di evasione fiscale, riciclaggio di denaro più o meno sporco, nonché i patrimoni di dittatori in carica o in dorato esilio.
La disponibilità di UBS a collaborare con il fisco le ha evitato ulteriori sanzioni rispetto ai 780 milioni già pagati, ma l’amministrazione Obama non ha alcuna intenzione di fermarsi qui, anche perché, stando a quanto riferisce il Wall Street Journal, sarebbero parecchi i contribuenti pentiti le cui dichiarazioni hanno consentito di stilare una sorta di elenco delle banche straniere più disponibili ad agevolare quanti volevano evadere il fisco, un elenco che vede UBS e altre tre banche svizzere affiancate ad altre sei importanti banche aventi sede in diversi paesi dell’Unione europea.
Per favorire ulteriori pentimenti, il governo statunitense ha deciso di varare misure premiali che potrebbero indurre numerosi evasori a collaborare, purché ovviamente non siano reticenti sui meccanismi utilizzati dai loro rispettivi partner bancari, che potrebbero risultare anche essere quelle banche statunitensi di maggiori dimensioni cui non difettano presenze estere, paradisi fiscali ovviamente inclusi.
D’altra parte, una delle poche novità positive derivanti dalla tempesta perfetta è rappresentata proprio dal diverso atteggiamento, o per meglio dire dalla diversa determinazione, dei leaders politici dei maggiori paesi industrializzati nei confronti dei paradisi fiscali, non fosse altro che per la semplicissima ragione che i governi da essi presieduti hanno un maledetto bisogno di mettere le mani perlomeno su una parte di quella montagna di denaro che una parte dei propri contribuenti si ostina a porre al riparo delle pretese delle rispettive agenzie delle entrate, un’esigenza di fare cassa, ma non solo, anche perché sia al di qua che al di là dell’Oceano Atlantico si sente sempre di più la necessità di rispondere alla rabbia montante nei milioni di persone che hanno perso la casa o il lavoro, in non pochi casi entrambi!
Come ben sanno i lettori del Diario della crisi finanziaria, quella in corso è una battaglia senza esclusione di colpi, basti pensare all’utilizzo dei servizi segreti deciso dalla cancelliera di ferro tedesca, Angela Merkel, per mettere le mani, dietro lauto compenso all’ex dipendente di una banca, di una lunghissima lista di cittadini tedeschi e di altri paesi europei che avevano il vizio di portare i propri soldi in uno dei tanti sportelli bancari di cui pullula il microscopico principato del Liechtenstein, uno dei tanti stati e statarelli che traggono gran parte della loro ricchezza da questa concorrenza sleale sul piano fiscale, un’attività che, seppure in modi leggermente diversi, viene svolta anche da qualche paese membro dell’Unione europea.
L’attivismo governativo nel contrasto all’esportazione illecita dei capitali sta contagiando anche il governo italiano che, in attesa dell’entrata in funzione a metà di settembre dell’orrido scudo fiscale, sta mettendo il sale sulla coda a centinaia, se non a migliaia di contribuenti infedeli e che sono ben consapevoli che l’eventuale apertura di un procedimento di contestazione da parte del fisco vanificherebbe la possibilità di usufruire della comoda e poco onerosa sanatoria voluta da Tremonti.