La sterilizzazione dell’enorme quantità di titoli più o meno tossici della finanza strutturata è, in realtà, soltanto apparente, per il semplice motivo che solo una parte di essi è stata messa a perdita dalle entità protagoniste del mercato finanziario globale, mentre una quota è stata acquisita dal sistema della riserva federale mediante operazioni che non hanno sollevato dal rischio finale le banche cedenti i titoli stessi e mentre si è ancora in attesa dei quelle joint ventures tra entità pubbliche e private che dovrebbero rilevare un’ulteriore fetta a un prezzo che, se fosse (come è stato assicurato solennemente dal ministro del Tesoro) di mercato, costringerebbe le banche a contabilizzare rilevantissime minusvalenze.
Ma il problema è rappresentato dal fatto che le esposizioni della specie ancora in carico alle banche vanno finanziate e questo, al netto del generosissimo e pressoché gratuito sostegno fornito da Bernspan, va comunque coperto mediante raccolta di varia provenienza che non può essere impiegata altrimenti, una situazione che non è solo spiegabile con la contingente avversione al rischio che caratterizzerebbe i banchieri di ogni ordine e grado, costituendo così un’ulteriore ragione di quel fenomeno di credit crunch che è oramai apertamente riconosciuto dagli stessi banchieri centrali.
Poiché è in qualche modo vero anche in economia quello che, con riferimento alla natura, sosteneva Lavoisier e,cioè, che nulla si crea, nulla si distrugge, ma tutto si trasforma, il conto della moltiplicazione dei pani e dei pesci operata via finanza strutturata sarà, per le principali entità protagoniste del mercato finanziario globale, non meno dolorosa e non troppo diversa da quella già toccata in sorte ai possessori di obbligazioni di Chrysler, General Motors e delle altre entità che hanno chiesto la protezione offerta contro i creditori dalla legge fallimentare, per non parlare di quella non meno infelice toccata agli azionisti che non sono riusciti a liberarsi in tempo del loro investimento!
Ma anche se tutto questo era vero anche prima che Ackermann lanciasse l’allarme sui rischi creditizi, non vi è chi non si renda conto che la non soluzione del problema precedente è già costata, secondo l’ultima stima del Fondo Monetario Internazionale, 10 mila miliardi di dollari alle pubbliche finanze, per non parlare delle molte decine di migliaia di miliardi di dollari di impegni, in buona parte assistiti da collaterale (sic), che ovviamente non sarebbero disponibili in caso di collasso sistemico, ma che hanno certamente quasi del tutto raschiato il barile delle risorse disponibili dei governi e delle banche centrali.
E’ questo il motivo della preoccupazione relativa al rischio creditizio, pure se questo è di per sé di molto inferiore a quello connesso alla finanza strutturata, per la semplice ragione che anche solo i 268 miliardi di dollari di perdite nel segmento delle carte di credito previste dal Fondo Monetario Internazionale per le banche statunitensi potrebbe avere le conseguenze che ha un solo bicchiere di alcool per un etiliste all’ultimo stadio!
Purtroppo, l’ammontare di crediti alle famiglie e alle imprese che rischiano di divenire inesigibili per le banche che li hanno concessi in passato su entrambe le sponde dell’Oceano Atlantico è già a oggi di gran lunga superiore a quelli legati alle carte di credito, ma di questo parlerò più in dettaglio nella puntata di domani che sarà dedicata alle sofferenze accertate nel settore dei mutui nei soli Stati Uniti d’America.