L’ennesima esternazione fatta ieri da Bernspan è la migliore dimostrazione del detto che recita che quando il gioco si fa duro i duri entrano in campo e tutto si può dire del presidente del sistema della riserva federale meno che sia un mollaccione o un mite, come si ostinano a pensare quanti ebbero modo di frequentare quando, sotto il nome di Benjamin Bernanke, era ancora soltanto un professore del prestigioso ateneo di Princeton e, ironia della sorte, era considerato uno dei massimi esperti della storia delle precedenti crisi finanziarie.
Come è accaduto con precedenti suoi interventi e testimonianze di fronte alle commissioni bancarie del Senato o della Camera dei Rappresentanti, i titoli dei lanci di agenzia e, ne sono certo, anche quelli dei giornali in edicola oggi non rappresentano fedelmente le dichiarazioni di Bernspan, in particolare quei passaggi nei quali vengono enfatizzate le difficoltà a ottenere credito da parte di famiglie e imprese, così come quelli in cui afferma che quella che stiamo registrando è più una fase di stabilizzazione della caduta che il concreto profilarsi di un vero e proprio avvio di ripresa, una fase che difficilmente potrà avere luogo sino a che la domanda effettiva continuerà a languire e le famiglie americane si ostineranno in quella loro riscoperta di quella ferrea regola del pareggio del bilancio o delle virtù del risparmio, regola e virtù che, prima della tempesta perfetta, sembravano riguardare solo il resto degli abitanti del pianeta.
Ma tutte queste possono sembrare sofisticherie di chi non vuole arruolarsi nell’esercito degli ottimisti a ogni costo, a volte a un tanto al chilo, per la semplice ragione che i mercati, che siano quelli azionari, delle materie prime o quelli valutari non fa davvero molta differenza, ascoltano quello che desiderano più di tutto e, cioè, che tutto è destinato a salire e che le loro scommesse, anche quelle più azzardate, possono, prima o poi, realizzarsi!
Una delle parti più interessanti dell’intervento del numero uno del sistema della riserva federale e unico sopravvissuto (almeno sino alla scadenza del suo mandato all’inizio dell’anno prossimo) del rinomato trio Bush-Paulson.Bernspan è la ricostruzione del periodo orribile compreso tra il settembre del 2008 e la prima metà del mese di marzo del 2009, una ricostruzione cruda e sufficientemente veritiera della fase nella quale si è davvero rischiato il default sistemico della finanza globale, un’eventualità che, ovviamente, nessuno si augura, ma dalla quale sono state tratte ben poche lezioni, come è palesemente dimostrato dai comportamenti delle banche globali, in particolar modo dalle loro divisioni di Corporate & Investment Banking che, date molto prematuramente per spacciate, stanno tornando a contribuire, a volte in modo prevalente, ai conti economici delle rispettive entità di appartenenza.
Avendo dedicato più di una puntata del Diario della crisi finanziaria all’irrisolto problema del mercato immobiliare a stelle e strisce, non mi voglio sottrarre all’analisi del dato di ieri sulle vendite di case esistenti nel mese di luglio, vendite che hanno fatto registrare un balzo in avanti di oltre il 7 per cento, anche se, alquanto inspiegabilmente, non si è correlativamente ridotto lo stock di case invendute, esattamente pari a quello segnalato nel mese di giugno, così come non si è verificata alcun rimbalzo del prezzo mediano che continua a mantenersi di circa un sesto inferiore a quello del luglio del 2008, tutti elementi che fanno capire quanto stiano pesando le vendite all’asta e il beneficio fiscale straordinario di 8 mila dollari per coloro che acquistano per la prima volta una casa di abitazione, anche se, come nel caso delle dichiarazioni di Bernspan, è troppo forte la tentazione di limitarsi alla parte positiva della notizia, senza soffermarsi sui dettagli!