Pur avendo dedicato l’intera puntata di ieri del Diario della crisi finanziaria al dato sull’andamento del prodotto interno lordo statunitense nel secondo trimestre, credo proprio che sia necessario qualche ulteriore approfondimento su un aspetto che venerdì è stato poco messo in risalto nei lanci di agenzia e, cioè, il comportamento molto giudizioso dei consumatori americani nel periodo aprile-giugno.
La spesa dei consumatori, infatti, è calata a sorpresa dell’1,2 per cento, mentre era riuscita a crescere addirittura nel trimestre precedente, quello funestato da un calo della crescita complessiva dell’economia a stelle e strisce del 6,4 per cento, una flessione che è certamente legata alla continua falcidia di posti di lavoro, nonché alle restrizioni operate dalle banche di ogni ordine e grado nell’offerta di credito al consumo.
Pur trovando molto virtuosa la trasformazione delle cicale statunitensi in formiche, non posso non sottolineare che è proprio dall’elevatissima propensione al consumo delle donne e degli uomini americani che ha tratto alimento quella lunghissima fase di espansione dell’economia USA che si è poi interrotta solo cinque mesi dopo l’avvio della tempesta perfetta, così come credo sia il caso di ricordare che è sempre nel 2007 che la propensione degli americani a risparmiare ha toccato per la prima volta lo zero.
Per una nazione che registra un peso del consumer spending pari al 70 per cento del totale, non vi è davvero molto da stare allegri sulle prospettive dei prossimi trimestri, anche perché, dopo la diffusione del rapporto del Fondo Monetario Internazionale che prevede perdite per la banche statunitensi per circa 270 miliardi di dollari, è alquanto probabile che non sarà dallo zip zip delle tesserine di plastica che verrà un nuovo impulso ai consumi.
Come ho ricordato più volte, l’anno in corso è quello nel quale le rate di milioni di mutui del tipo ARM si innalzeranno in maniera drastica, ma è anche quello nel corso del quale un 10 per cento degli occupati è o sarà prossimamente a spasso, mentre un numero imprecisato ma certo ragguardevole di famiglie sta combattendo una battaglia contro il tempo per evitare il pignoramento e la successiva messa all’asta della propria abitazione.
M quello che mi ha davvero colpito analizzando in modo più dettagliato i dati relativi al secondo trimestre è rappresentato dalla prosecuzione dello sciopero degli investimenti da parte delle imprese, anche se va detto che molte di queste hanno chiuso i battenti o sono sotto la protezione della legge fallimentare, così come non vi è stato quello scatto nel processo di ricostituzione delle scorte che molti si attendevano.
Ho letto un interessante articolo nel web che riporta una dichiarazione del numero uno di Deutsche Bank, Joseph Ackermann, sul pericolo prossimo venturo per i bilanci delle banche più o meno globali e che proverrebbe, a suo autorevole avviso, dall’attività creditizia in senso stretto, per la quale, lo ricordo, non valgono le nuove norme contabili che hanno consentito alle stesse banche di non valutare i titoli tossici della finanza più o meno strutturata secondo il criterio del mark to market,un allarme che consiglieri di non sottovalutare, anche alla luce del fatto che un ennesimo rapporto del Fondo Monetario Internazionale rende noto che sono stati già impiegati 10 mila miliardi di dollari a favore delle banche basate all over the world!