Ripubblico il mio articolo apparso il 28 dicembre su l'Altro quotidiano.
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La tempesta perfetta è sostanzialmente un fenomeno che riguarda l’indebitamento in senso lato, indebitamento dei privati per il credito al consumo o per i mutui, delle imprese, degli Stati e delle banche per la montagna di titoli più o meno tossici della finanza strutturata con i quali hanno ricoperto il pianeta.
Molti di questi debiti sono in default, molti non sono ancora giunti a questa situazione ma vi sono vicini, altri titoli tossici vengono ritenuti buoni soltanto a causa di una modifica alle regole di rappresentazione di bilancio, ma buoni non sono.
La crisi del debito sovrano in Europa aggiunge un altro tassello a questo quadro, ma il problema non riguarda solo Grecia e Irlanda, riguarda un buon numero dei paesi del Vecchio Continente, Italia inclusa, riguarda l’euro, ma, dall’altra parte dell’Oceano Atlantico, riguarda i titoli di stato statunitensi e il dollaro, nonché lo stato delle banche che hanno l’etichetta del too big to fail (troppo grandi per fallire).
Come si esce da una crisi del debito? Le strade sono diverse, ma la più semplice la ha indicata la cancelliera Angela Merkel, la quale ha sostenuto che anche i creditori, i possessori cioè dei titoli, devono fare la loro parte, accettando di incassare quanto il Mercato valuta quei pezzi di carta da loro sottoscritti quando ben altra era la solidità degli emittenti.
Quello che propone oggi la Merkel è stato già vissuto sulla loro pelle dagli obbligazionisti della Chrysler e della General Motora, mentre poco si sa di quanto è accaduto ai possessori di obbligazioni emesse da entità minori e i cui default non hanno guadagnato le prime pagine dei giornali finanziari, ma non è azzardato ritenere che in molti casi non sia rimasto in mano a questi creditori molto più del classico pugno di mosche.
Per quanto riguarda l’area dell’euro, finora i creditori non sono stati toccati dal crollo dei titoli sul mercato secondario se hanno deciso di portare a scadenza i loro titoli, ma dopo Grecia e Irlanda, e forse nei prossimi giorni il Portogallo, la speculazione guidata dal club delle nove banche globali potrebbe toccare Spagna e Italia, non in questo ordine necessariamente, e allora ci sarebbe il rischio concreto di una ristrutturazione del debito che potrebbe anche colpire pesantemente i detentori dei titoli di Stato.
Ma cos’è questo club delle nove banche globali di cui ha parlato per primo il New York Times? Si tratta di sei banche statunitensi, le più grandi, tra cui Goldman Sachs, Citigroup, J.P. Morgan-Chase, Bank of America, ma anche svizzere, inglesi e tedesche che da tempo usano riunirsi in un giorno fisso della settimana per discutere di materie prime, azioni e titoli di Stato e per decidere linee guida di azione, riuscendo a influenzare l’andamento dei mercati grazie al volume di fuoco che possono scatenare.
Si tratta di volumi che possono mandare alle stelle o agli inferi il valore della moneta di un paese di medie dimensioni, o i titoli rappresentativi del debito dello stesso malcapitato paese, ma grande influenza hanno anche sui mercati delle materie prime, in particolare di quelle energetiche.
Le difese contro queste banche sono molto scarse, anche perché gli altri operatori tendono ad accodarsi ai loro movimenti, restando spesso bruciati quando i grandi decidono repentinamente di cambiare strategia.
Le stesse banche centrali e i governi dei paesi maggiormente industrializzati poco possono contro una coalizione di entità così potenti, vere e proprie multinazionali del credito che hanno in gestione quantità di denaro pari a multipli del prodotto interno lordo di questi paesi, possono al massimo esercitare una morali suasion affinché non eccedano nell’influenzare i mercati valutari e quello dei titoli di Stato e, anche in questo caso, non sempre con successo.