Ho già dedicato pochi giorni fa una puntata del Diario della crisi finanziaria all'allarme lanciato dal Fondo Monetario Internazionale, a margine di un meeting annuale a tratti sorprendente e sul quale tornerò nei prossimi giorni, sulla possibile crisi di alcune banche medio piccole italiane, quelle che, per le regole della Vigilanza europea presso la BCE, sono ancora vigilate dalla Banca d'Italia, così come ovviamente accade in tutti gli altri paesi dell'area dell'euro, mentre Francoforte ha avocato a se la Vigilanza sulle banche medio grandi e grandissime, come i primi cinque grandi gruppi creditizi italiani che, lo ricordo, rappresentano il 40 per cento circa del totale attivo a livello di sistema e sono il frutto della concentrazione di centinaia di istituti preesistenti di ogni dimensione e pregressa natura giuridica.
Il caso delle quattro banche medio piccole scoppiato nell'autunno del 2015, con il relativo salvataggio delle stesse a spese della totalità delle altre banche ordinarie italiane e la nascita di una bad bank e quattro good banks ancora in attesa di un'acquirente e ancora in vita solo grazie alla terza proroga chiesta dall'Italia e concessa dalla Vigilanza BCE, ha fatto accendere un faro sia in quel di Washington che a Francoforte e il rapporto degli analisti alle dipendenze di Christine Lagarde, l'appena confermata Managing Director del FMI, ne è la prima e alquanto preoccupante testimonianza, anche perché consente di capire che c'è del marcio in Danimarca, ma non di capire quali e quante banche versano in una situazione di difficoltà, una mancanza di chiarezza forse dovuta al garbo istituzionale nei confronti di Bankitalia, ma che, in regime di bail in perfettamente operante, suscita forte preoccupazione negli azionisti, gli obbligazionisti subordinati e i detentori di depositi per cifre che eccedono il limite dei 100 mila euro (ricordo che, secondo i dati pubblicati dalla nostra banca centrale, tale quota eccedente il predetto limite è, a livello di sistema, pari a 225 miliardi di euro).
Anche lui presente ai lavori del FMI e della Banca Mondiale, il Governatore della Banca d'Italia, Ignazio Visco, ha dapprima rilasciato una dichiarazione talmente fumosa da far scrivere ai giornalisti italiani presenti che molto probabilmente il riferimento degli analisti della Lagarde era riferito alle quattro banche di cui ho parlato anch'io all'inizio di questa puntata, e cioè Banche Etruria e le sue tre sventurate sorelle, ma discreti sondaggi presso l'importante istituzione sovranazionale hanno fatto immediatamente capire che loro si occupano del presente e del futuro e non certo di quello che ha occupato per settimane e per mesi le cronache finanziarie, e non solo quelle, dei quotidiani italiani con discreta eco anche sui media stranieri.
Ecco allora che il nostro Governatore, sempre in quel di Washington, tiene una conferenza stampa nella quale, nello stile asettico del Bollettino statistico della Banca d'Italia, informa che le banche italiane medio piccole (definizione per la quale bisogna ricorrere al menzionato Bollettino di cui purtroppo ho gettato da tempo le copie di cui disponevo) in questione sono dieci, chiarendo subito che non si tratta di Banche di Credito Cooperativo (delle quali solo in Veneto, vero buco nero del credito in Italia, ne sono andate a male almeno quattro, alcune salvate, altre ancora commissariate), il che consente, dal totale di 470 banche medio piccole, di sottrarne 350, ma, bontà sua, il Governatore ci dice che dalle 100 (in realtà sarebbero 120) rimaste possiamo togliere anche altre venti che in realtà sono delle finanziarie specializzate (leasing, fattori e quant'altro) e arriviamo così ad ottanta banche tra le quali scegliere le dieci in difficoltà.
Comprendo bene che le spiegazioni di Visco fanno tirare un sospiro di sollievo ad azionisti, obbligazionisti e depositanti affluent delle banche escluse dal computo, ma resta il fatto inoppugnabile che risparmiatori e investitori di settanta banche presumibilmente sane nonché quelli delle dieci andate a male condivideranno la medesima preoccupazione fino a che la notizia che la loro banca è in grave difficoltà o addirittura in procedura di risoluzione con i noti corollari non sarà apparsa sulla stampa locale o nazionale!
Visto che sto parlando di quanto sta accadendo a Washington, informo che la Lagarde ha invitato sul palco dell'assemblea del FMI l'ex ministro del Tesoro USA, Timothy Geitner (l'uomo che prese nel 2008 il posto di Hank Paulson e, insieme a Bernspan, affrontò la fase più difficile della prima ondata della Tempesta Perfetta) e Michel Lewis, autore del libro The Big Short. Entrambi hanno detto che i mercati non sono pronti ad una nuova crisi finanziaria della quale si scorgono già dei segnali. Ma di questo parlerò più diffusamente nei prossimi giorni.
Nessun commento:
Posta un commento