giovedì 20 ottobre 2016

Nel 2015 anche i ricchi hanno pianto, ma cosa accadrà nel 2016?


Negli anni che vanno dal 2007 al 2010, quelli che, per intenderci, definisco gli anni orribili della prima fase della Tempesta Perfetta, la falcidia dei grandi patrimoni miliardari espressi in dollari, euro, sterline inglesi e franchi svizzeri (per quelli espressi in valute deboli rispetto alle quattro principali appena indicati, bisogna aggiungere alcuni zeri per poter ambire ad entrare nell'alquanto esclusivo club) fu davvero tremenda, tanto era massiccia la svalutazione dei titoli azionari ed obbligazionari, dei patrimoni immobiliari, delle partecipazioni industriali e via discorrendo, un fenomeno che non aveva precedenti nella storia e che non fu affatto mitigato dalla diversificazione degli investimenti fatta sia in proprio, sia attraverso le gestioni patrimoniali delle banche globali di ogni ordine, grado e latitudine, le uniche cui i veri e alquanto diffidenti paperoni del pianeta affidano la gestione di larga parte del loro patrimonio.

Vennero poi gli anni del recupero, a partire dal 2011 sino al 2014, quelli della seconda ondata della Tempesta Perfetta, nei quali si poté assistere ad un certo recupero dei valori mobiliari, dell'immobiliare (che pure non ha ancora recuperato i valori e i volumi degli anni immediatamente precedenti la crisi finanziaria) e del valore delle partecipazioni industriali, ma furono, al contempo gli anni della crisi del debito sovrano, una crisi strettamente connessa al fatto che governi e banche centrali si erano viste, negli anni precedenti a profondere svariate migliaia di miliardi espresse nelle quattro principali valute per evitare il molto concreto rischio di default delle maggiori banche globali, un evento che avrebbe determinato un rischio sistemico che non aveva precedenti nei 62 anni seguiti alla fine del secondo dopoguerra mondiale, ma si trattò, comunque di un recupero del valore dei grandi patrimoni solo parziale e che non riguardò quanti avevano investito nelle due maggiori case automobilistiche statunitensi e nelle tante banche e finanziarie finite a gambe all'aria travolte dagli alti marosi di una Tempesta Perfetta che sembrava non dovesse avere fine.

Il vero problema di questi primi otto anni e mezzo della Tempesta Perfetta era dato dal fatto che erano pochissimi gli straricchi che avevano un'esperienza personale della Crisi dell'ottobre del 1929 e degli anni della Grande Depressione (durata oltre quattordici anni) e, quindi, vaccinati rispetto agli errori che hanno caratterizzato i loro eredi e discendenti nei ventidue anni successivi alla deregolamentazione e alla globalizzazione spinta dei mercati finanziari, nonché delle merci e dei servizi, una perdita di memoria e una impreparazione che sono costati in questo relativamente breve lasso di tempo la distruzione di ricchezza per migliaia di miliardi di euro, valuta che assumo non casualmente a pietra miliare delle altre tre principali valute e che, insieme ad esse, rappresenta oltre il 90 per cento della valute di riserva delle banche centrali, mentre il petrolio e le altre materie prime energetiche meriterebbero un discorso a parte che non è qui il caso di fare, ma che è stato trattato diffusamente in diverse puntate dell'epoca del Diario della crisi finanziaria, così come quello relativo all'oro che nella Tempesta Perfetta ha dimostrato ancora una volta di essere quel barbarian relict di cui soleva parlare il mai troppo compianto John Maynard Keynes.

Ma ci furono almeno due lodevoli eccezioni alla regola di ignavia, impreparazione, mancanza di capacità di apprendere dalle amare lezioni della Storia, sia essa generale o economica, che caratterizza gli uomini e le donne più ricche del pianeta ed è rappresentato da Warren Buffett, meglio noto come il Leone di Omaha,  e George Soros, lo speculatore filantropo che sarà ricordato per il suo fattivo contributo al crollo del regime sovietico, quello che Ronald Reagan definiva l'Impero del Male; ebbene, questi due capitalisti di razza non si arresero al fato avverso e, mentre tutti scappavano a gambe levate, investirono nelle azioni di banche e imprese che sembravano inesorabilmente destinate al fallimento, default che nella stragrande maggioranza dei casi non si verificò e i due ne uscirono più ricchi, così come non è un caso che nel 2007, a blog appena avviato, riconoscevo in questi due miliardari le mie stelle polari per tenere il libro di bordo della molto malmessa flotta delle entità finanziarie, mentre il debito teorico lo ho dichiarato senza riserve nei confronti di Keynes, l'uomo che dalla sua analisi del '29 e dintorni trasse una teoria economica realmente rivoluzionaria per quei tempi!

Venendo alla cronaca della terza fase della Tempesta Perfetta, segnalo che, in un anno relativamente tranquillo come è stato, almeno in apparenza, il 2015, i grandi ricchi hanno perso una bazzecola come 300 miliardi di dollari, che in euro o in sterline sono un po' meno, ma sono sempre una bella cifra e staremo vedere cosa riserva loro quello che amo definire come l'anno di disgrazia 2016, l'anno in cui abbiamo assistito a cali dei corsi azionari delle banche europee che vanno da un quarto alla metà, con punte di molto superiori per le due banche cui sto dedicando le maggiori attenzioni: Deutsche Bank e Monte dei Paschi di Siena.

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Ringrazio i lettori per avere riportato ieri le visite quotidiane del Diario della crisi finanziaria, forse anche per la pubblicazione di due puntate nello stesso giorno, quasi ai livelli dei momenti più caldi della prima fase della Tempesta, con qualcosa più di 600 visite, quasi equamente distribuite tra Stati Uniti d'America, anche ieri prevalenti, e Italia e altri paesi, mentre domani inizia, divisa in un numero di non ancora prefissato di puntate, un'analisi più puntuale della crisi finanziaria, intitolata "L'amara lezione della Tempesta Perfetta".

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