giovedì 6 ottobre 2016

Super Mario si piega al falco Weidmann?


Ho dato ieri, in coda alla puntata del Diario della crisi finanziaria, la notizia che, secondo l'autorevole agenzia giornalistica Boomberg che cita fonti interne alla BCE, la Banca Centrale Europea avrebbe messo a punto il piano di atterraggio morbido del suo piano di Quantitative Easing, un piano che scatterebbe ove nel marzo del 2017 il direttivo non decidesse di continuare nella sua politica monetaria ultra accomodante e che prevede la riduzione degli acquisti (prevalentemente di titoli di Stato dei paesi membri dell'eurozona, titoli tedeschi ampiamente inclusi e per questo al momento quasi introvabili) mensili per 80 miliardi di euro.

La smentita d'obbligo proveniente dai piani alti del grattacielo di Francoforte è per certi versi sconcertante, perché rinvia alle ultime conferenze stampa tenute dal presidente del board della BCE, Mario Draghi, oltre che alle sue esternazioni istituzionali prima alla commissione economica del parlamento europeo e poi direttamente in casa dei suoi maggiori oppositori intervenendo, dopo quattro anni che ciò non accadeva, nell'aula del Bundestang, occasione quest'ultima dove l'ex Direttore Generale del Tesoro della Repubblica italiana, ex autorevole esponente di Goldman Sachs in Europa, ex Governatore della Banca d'Italia e già numero uno dell'organismo incaricato di riscrivere le regole del gioco della finanza internazionale dopo le diverse ondate della Tempesta Perfetta che Draghi ha utilizzato per togliersi qualche sassolino dalla scarpa, ricordando ai deputati alemanni che la sua politica monetaria ha non solo aiutato lo sviluppo dell'economia tedesca, ma più in particolare, alla luce del connesso e forte ridimensionamento dell'euro, ha fornito una spinta all'export tedesco , una spinta che giocato un ruolo decisivo nel raggiungimento per la prima volta nel 2015 di un saldo della bilancia commerciale pari al 9 per cento del PIL, ben superiore al 6 per cento massimo previsto dai regolamenti dell'Unione europea.

Draghi ha poi ricordato in quella stessa occasione che, grazie agli acquisti di titoli tedeschi da parte del BCE, nel 2015 la Germania ha risparmiato 28 miliardi di euro, lasciando intendere che cifre simili hanno caratterizzato il 2014 e dovrebbero riguardare l'anno in corso, il primo ad avere registrato rendimenti negativi per il Bund a 10 anni, ma è parlando al termine ai giornalisti che gli chiedevano se le crisi gemelle di Deutsche Bank e Commerzbank non potevano essere state determinate dalla politica dei tassi a zero praticata dalla Banca Centrale Europea che Draghi è tornato appieno Super Mario, dicendo nel suo inglese perfetto che se una banca diventa un caso sui mercati questo difficilmente dipende dai tassi applicati dalla Banca Centrale ma è più probabilmente indizio del fatto che c'è un problema, un problema, ma questo Draghi non lo ha detto, che ha più a che fare con le diavolerie della finanza strutturata che con l'attività bancaria tradizionale che, con riferimento a Deutsche, pure ha segnato, nel 2015, un calo dei ricavi di poco meno di un terzo rispetto all'anno precedente e ha determinato la necessità di un piano di sensibile ridimensionamento degli organici e di riduzione di un terzo degli sportelli in Germania e la cessazione delle attività in più di un paese straniero, nonché la decisione di cedere in toto o in parte le attività delle due (sic) CIB  di cui il colosso creditizio tedesco dai piedi di argilla è dotato.

Ma non che non vi siano banche in Germania e nei paesi più strettamente legati a questo paese un tempo guida ed ispiratore delle politica dell'Unione europea, grazie anche alle irrisolte divisioni dei paesi della cosiddetta area mediterranea dell'Unione e al blocco sempre più nazionalista e a tratti xenofobo dei paesi di quella che una volta era l'Europa dell'Est, che stanno soffrendo per la politica dei tassi a zero e queste sono rappresentate, in particolare dalla Landesbanken e dalle Sparkassen, banche sotto il controllo diretto o indiretto della mano pubblica e caratterizzate da una struttura dei costi molto rigida e che vedono i margini, sia quello di gestione denaro che quello di intermediazione, assottigliarsi in modo molto sensibile ed è a nome di queste che parla il Presidente della Bundesbank, Jens Weidmann, già stretto collaboratore, forse a quei tempi il più stretto, un politico di professione passato damblè alla guida di quella che era la più potente banca centrale del Continente europeo e che non perde occasione per criticare apertamente i due pilastri della politica di Mario Draghi in questa fase, la politica monetaria ultra accomodante e il Quantitative Easing e la connessa politica dell'euro debole nei confronti della principali valute straniere, in primis il dollaro.

Uno scontro che al momento ha visto Weidmann soccombente e accontentato con il contentino della Presidenza, oltre che della Bundesbank ovviamente, della Banca dei Regolamenti Internazionali, una prestigiosa istituzione che a breve licenzierà Basilea 4 e che Weidmann ha cercato di utilizzare per aprire un altro fronte, quello consistente nell'imporre un limite del 25 per cento all'acquisto dei titoli di Stato del paese nel quale una banca ha la sede legale, una proposta che, però, si è scontrata con l'opposizione delle principali banche centrali del pianeta, ma l'ultimo smacco impostogli da Draghi è stato quello di fissare la riunione del consiglio BCE che doveva decidere l'aumento da 60 a 80 miliardi di euro al mese il volume di fuoco del QE quando Weidmann, per la regola della rotazione, non poteva essere presente.

Come si è visto, sino ad oggi la Germania e suoi più stretti alleati hanno perso ogni scontro con il Presidente della BCE e, anche alla luce della puntuale smentita giunta oggi da Francoforte, rischiano seriamente di perdere anche questa, ma va detto ad onore di Weidmann che dimostra una tenacia degna di miglior causa, anche se Super Mario non sarebbe tale se non avesse dimostrato nella sua lunga e fortunata carriera di essere in grado di mettere la museruola a personaggi con molto più spessore dell'esponente tedesco che non ha, a mio modesto avviso, né la stoffa del banchiere, né, tantomeno, quella del banchiere centrale!

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