martedì 18 ottobre 2016

Voci da dentro: Deutsche Bank e il complotto a stelle e strisce


Ha avuto molto coraggio l'inviato del quotidiano torinese, Gianluca Paolucci, lo stesso che, se non vado errato, ha raccolto con un escamotage lo sfogo del bravo Fabrizio Viola dopo le sue dimissioni "spintanee" dalle cariche di amministratore delegato e direttore generale del molto malmesso Monte dei Paschi di Siena (dimissioni, lo ripeterò fino alla nausea, fortemente volute dal Governo, da J.P. Morgan e da Mediobanca per le sue resistenze alle modifiche richieste al suo piano in materia di aumento di capitale e di cessione delle sofferenze al Fondo Atlante), ha avuto coraggio dicevo perché è riuscito a far parlare, ovviamente sotto garanzia di anonimato, persone interne e persone vicine a Deutsche Bank, un colosso creditizio globale che è talmente sull'orlo di una crisi di nervi da non escludere del tutto quella uscita dal ricco mercato statunitense che è sempre una freccia all'arco del Dipartimento di Giustizia e di quello del Tesoro in quel di Washington, soprattutto se non andrà a buon fine la perentoria richiesta della nomina, da parte della banca tedesca di una personalità indipendente e in grado di districarsi nei meandri delle due divisioni di Corporale and  Investment Banking e dei loro 55 mila miliardi di euro di derivati e titoli della finanza strutturata più o meno tossici.

Mi ha fatto un po' impressione vedere la foto del quartier generale di Deutsche a Francoforte, due altissime Torri Gemelle contorte da altre costruzioni gemelle significativamente più basse e la similitudine mi ha fatto venire alla mente un mio viaggio a New York nel corso del quale quelle le torri le vidi in costruzione ma già ospitavano gli uffici dell'ICE che ebbi modo di visitare, ma anche che quello stesso anno 2001, oltre che per il tremendo attacco terroristico alle Torri Gemelle, viene anche ricordato per lo scoppio di una delle tante bolle speculative, quella delle dot.com e del settore in genere legato ad internet che tanta parte aveva avuto nella crescita abnorme dell'indice Nasdaq passato in pochissimi anni da 2.500 ad oltre 5.000 punti, per poi cadere a precipizio tra il 2000 e il 2001, costringendo Alan Greenspan, allora Presidente della Federal Reserve e maestro spirituale del suo successore, Benjamin Bernanke, che lo imitò a tal punto da spingermi a chiamarlo Bernspan, a finanziare a piè di lista gli operatori di borsa e inondare letteralmente il mercato di liquidità per evitare un effetto sistemico che infatti non vi fu, anche se non poté evitare i fallimenti a catena di buona parte delle società quotate  all'indice tecnologico più importante del pianeta.

Non molti lo sanno, ma in quei non troppo lontani primi anni del XXI secolo, Deutsche  era una banca molto diversa dalla banca globale che è diventata ora, veniva considerata una banca tradizionale concentrata su depositi e impieghi, obbligazioni  non troppo complicate, poca finanza strutturata, un discreto numero di presenze all'estero, derivati in prevalenza di hedging (cioè di copertura dei rischi di tasso e di cambio legati agli assets della banca), un solido conto economico e una struttura patrimoniale ben rapportata al proprio totale dell'attivo, ma, con l'avvento di Josep Hackermann al vertice della banca di Francoforte di cui divenne contemporaneamente Chief Executive Officer e Presidente, tutto cambiò, come ben sanno gli interlocutori che Paolucci ha scovato nel quartier generale di Deutsche e quelli che conoscono bene la banca.

E', quindi, dal 2002-2003 che Deutsche in breve tempo si trasforma  da quieta e un po' soporifera banca tradizionale in un'immensa CIB, anzi, caso quasi unico al mondo, in due, e riesce a superare i colossi americani del calibro di Goldman Sachs e J. P. Morgan, banche che fanno quasi solo derivati e finanza strutturata (oltre che, ovviamente, gestioni patrimoniali, M&A, consulenza e quant'altro) ma per volumi che sono inferiori di qualche migliaio di miliardi di dollari per ciascuna rispetto a quelli che raggiunse in brevissimo tempo il neofita Ackermann che poi fu cacciato nel 2012, ma che nel decennio in cui rimase uomo solo al comando mise le cause che hanno reso, secondo l'FMI ma non solo, Deutsche un rischio sistemico per l'intero settore finanziario internazionale, nonché le premesse per una serie di cause lunga un chilometro e che già hanno rappresentato un salasso per le un tempo floride casse della banca.

Mentre siamo in attesa del risultato della trattativa con il Dipartimento di Giustizia USA per la multa che per ora è fissata a 14 miliardi di dollari, della sentenza del processo inglese sulle manipolazioni del mercato finanziario e di altre contestazioni che qui sarebbe troppo lungo riportare, inclusa quella che riguarda la violazione dell'embargo all'Iran, un tipo di violazione che è costata a BNP Paribas una multa miliardaria, scoppia ora un'altre grana per Deutsche ed è rappresentato dall'accusa di aver compiuto un vero e proprio riciclaggio di 10 miliardi di dollari di capitali russi di non chiara provenienza e transitati per la dipendenza russa della banca e istantaneamente trasferiti alla potentissima filiale di Londra, un evento per il quale è stata chiusa l'affiliata russa e licenziati in tronco i responsabili dell'operazione incriminata. La dura reazione è in tutto ascrivibile al nuovo CEO, John Cryan, che è anche revocato i bonus di cui godevano Ackermann e due precedenti co CEO.

In questo scenario, è davvero risibile che i ministri del Tesoro e della Giustizia statunitense, la Presidente della Fed e i responsabili delle varie agenzie federali che si occupano delle diverse vicende legate all'operato negli USA della banca di Francoforte stiano muovendosi di concerto per eliminare Deutsche dal ricco mercato finanziario statunitense, anche perché gli estremi per giungere ad una revoca dell'esercizio del credito ci sarebbero già tutti, ma sembra che, al momento, non ve ne sia l'intenzione, così come il fatto che la richiesta di pagare per la crisi dei subprime quanto hanno già dato le banche globali statunitensi non abbia già prodotto un atto transattivo potrebbe essere legato a comportamenti accertati più gravi e forse legati a quello che si potrebbe definire l'entusiasmo del neofita, come in effetti era Deutsche nel mercato finanziario globale negli anni che vanno dal 2002 al 2006, gli anni, cioè, che precedono lo scoppio della Tempesta Perfetta.

Sento ripetere da tempo, e ve ne è traccia anche nell'ottimo servizio di Paolucci, che, allenato dei titoli tossici, per i derivati di Deutsche non vi sarebbero problemi perché il risultato netto di queste svariate di decine di migliaia di miliardi di euro di capitale nozionale sarebbe attivo per 19 miliardi, un dato certamente confortante, ma che si scontra da un lato con il potenziamento esponenziale delle funzioni aziendali preposta alla valutazione dei rischi, una divisione più che un ufficio giunto ad un organico di ben 2.200 persone, in secondo luogo con la richiesta del Governo federale USA di nominare una personalità indipendente proprio per valutare questi rischi, e, in terzo luogo, con una constatazione che sarà semplicistica e che dice che se il risultato è positivo perché non iniziare a chiudere in modo selettivo le posizioni con il duplice effetto di ridurre quell'ammontare che tanto spaventa i Governi, le opinioni pubbliche e le altre banche!

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