giovedì 1 ottobre 2009

Il Fondo Monetario Internazionale rivede le perdite della tempesta perfetta a 3.400 miliardi di dollari!


Il rapporto di metà anno del Fondo Monetario Internazionale presentato a Istanbul informa che le perdite previste nel triennio 2007-2010 per le entità a diverso titolo operanti nel mercato finanziario globale si sono ridotte da 4.000 a 3.400 miliardi di dollari, il che costituisce certamente una bella notizia se non fosse che l’ultima stima ufficiale dello stesso organismo che io ricordi si fermava a 2.200 miliardi di dollari.

La riduzione delle perdite previste sarebbe dovuta a una crescita maggiore del previsto, o meglio al miglioramento delle previsioni di crescita per il 2010, anno nel quale l’economia a livello globale dovrebbe crescere non più del 2,5 per cento come era previsto sinora, ma potrebbe crescere del 3 per cento, anche se tali previsioni verranno rese note solo nella giornata di oggi e l’aumento riportato è ancora frutto delle speculazioni degli analisti.

Secondo gli economisti dell’IMF, vi sarebbe una forte differenza nella contabilizzazione delle perdite tra le banche statunitensi e quelle europee, in quanto le prime si sarebbero già accollate più della metà di quelle di loro pertinenza, mentre quelle europee sarebbero un po’ più indietro nell’evidenziazione di quelle attribuite loro, anche per uno sfasamento dei cicli economici, il che implica che queste perdite andranno a gravare sui bilanci trimestrali futuri, mentre nulla si dice di quanto avrebbero fatto in proposito le cosiddette non banche, fondi pensione, fondi di investimento, compagnie di assicurazione e hedge funds, entità cui le ripartizioni precedenti assegnavano una bella fetta delle perdite complessive stimate.

Ovviamente, nel Global Financial Stability Report, tale è il nome del documento del Fondo, si da atto a governi e banche centrali di aver operato in modo estremamente efficace e di aver contribuito a evitare il collasso sistemico del mercato finanziario globale che si era profilato all’indomani del fallimento di Lehman Brothers, ma si mette in guardia dal rischio, passata la fase più acuta della crisi finanziaria, di rinviare sine die la necessaria riforma delle regole del gioco nei mercati finanziari.

Sempre ieri è stata diffusa la terza e ultima lettura della variazione del prodotto interno lordo statunitense nel secondo trimestre, un dato che segnala una riduzione della flessione dal -1,0 per cento precedentemente stimato allo 0,7 per cento, un miglioramento in buona parte dovuto alla minore contrazione degli investimenti delle imprese, mentre la cruciale componente dei consumi registra un miglioramento soltanto frazionale passando da una flessione dell’1,0 per cento a una dello 0,9, una flessione che, tuttavia, si conferma superiore a quella dello 0,6 per cento del primo trimestre che pure aveva visto il pil a stelle e strisce scendere del 6,4 per cento.

Le due notizie non hanno acceso soverchi entusiasmi a Wall Street, dove i tre principali indici sono andati giù in apertura di qualcosa di più di un punto percentuale e il petrolio, che aveva rivisto la soglia dei 69 dollari al barile rapporto, è ripiombato poco sopra i 66 dollari, anche perché l’indice manifatturiero di Chicago, il Chicago Purchasing Managers Index, si è portato in settembre a 46,1 dai 50 di agosto, invece di crescere a 52 come era nelle previsioni degli analisti, ma anche perché CIT Group, la banca che sostiene finanziariamente reti di vendita e dettaglianti, potrebbe nuovamente trovarsi costretta a ricorrere alle procedure fallimentari per le difficoltà che starebbe incontrando, secondo quanto scrive il Wall Street Journal, nel convincere i possessori di sue obbligazioni a convertirle in azioni.