Dopo aver occhieggiato per diverse sedute alla soglia dei 10 mila punti, oggi il Dow Jones è riuscito a superarla sull’onda degli utili oltre le previsioni di J.P. Morgan Chase e di Intel, anche se il bilancio del terzo trimestre della banca ha presentato accantonamenti e messe a perdita pressoché doppie di quelle registrate nel trimestre precedente.
L’utile di J.P. Morgan Chase è stato pari a 3,59 miliardi di dollari, un risultato ‘spinto’ dalla performance della divisione di Corporate & Investment Banking che ha sfiorato i 2 miliardi di dollari (1,92, per la precisione), un miliardo in più di quanto aveva guadagnato nel trimestre precedente, a ulteriore conferma che le grandi banche stanno sviluppando al massimo le operazioni di trading.
Come dicevo sopra, le cose vanno molto meno bene nelle attività tradizionali, dove, complice l’acquisizione di Washington Mutual, sono stati necessari accantonamenti per 4 miliardi di dollari circa nel settore dei mutui, mentre quelli per i default sulle carte di credito si sono posizionati poco al di sotto dei 5 miliardi di dollari, ma quello che più conta è che le previsioni per i trimestri futuri non sono affatto rosee.
Non appare, infatti, tranquillizzante che la percentuale di default nel comparto delle carte di credito comunicata dalla banca con riferimento al terzo trimestre si è portata al 10,3 per cento, una percentuale che dovrebbe essere pari al 10,5 per cento nel quarto trimestre, valori ancora largamente al di sotto da quel 14 per cento medio di insoluti sulle carte di credito previsto dal Fondo Monetario Internazionale.
Vi è comunque molta attesa per i bilanci delle altre grandi banche a stelle e strisce, anche perché, a differenza di Morgan Stanley e Goldman Sachs, Citigroup, Bank of America e Wells Fargo dovrebbero risentire molto dell’ondata di default che sta colpendo il settore del mortgage e quello delle diverse forme che assume il credito al consumo, anche se tutte si sono certamente dilettate nelle attività di trading.
Proprio a questo proposito si infittisce l’azione del Congresso e delle diverse Authorities per porre limiti al far west in corso nel mercato dei derivati sul petrolio e le altre materie prime, un attivismo che punta a sottomettere le attività della specie alle regole che già vigono per le contrattazioni future sulle derrate alimentari, anche se le pressioni lobbistiche delle banche potrebbero ritardare o modificare questo corso delle cose.
Nel frattempo, il petrolio ha raggiunto i massimi dell’anno spingendosi nell’area dei 75 dollari al barile, mentre il dollaro ha superato la soglia degli 1,49 contro l’euro, confermando una tendenza al ribasso della quale mi sono occupato in diverse puntate del Diario della crisi finanziaria e che appare destinata a durare anche nel futuro prossimo venturo nonostante l’attivismo delle banche centrali e dei paesi maggiormente ‘lunghi’ di dollari sia sotto forma di depositi che di titoli di stato statunitensi.
Le prossime settimane saranno cruciali per capire se siamo davvero davanti a una svolta dopo ventisette mesi di tempesta perfetta o se siamo ancora di fronte all’onda lunga del rally dell’orso iniziato a marzo di quest’anno!