giovedì 8 ottobre 2009

La Fed lancia l'allarme sui mutui commerciali!


Credevo proprio di averle viste tutte in questi ventisei mesi di tempesta perfetta, ma oggi ho avuto una dose supplementare di sorpresa apprendendo che un oscuro analista di una Fed regionale, quella di Atlanta per la precisione, ha provato a stimare l’effetto del ritardo con il quale le banche a stelle e strisce fanno emergere le proprie perdite, un’analisi dalla quale emerge che nel comparto dei mutui commerciali si anniderebbe una vera e propria bomba che non è ancora emersa per la particolare natura di buona parte di questi mutui, non a caso definiti intersest-only loans, per la semplice ragione che il debitore, per un periodo determinato, ripaga gli interessi e non la somma ricevuta.

Sorvolando a piedi pari sulle tecnicalità che hanno consentito il non inserimento a bilancio delle perdite relative ai titoli tossici che hanno come sottostante questa categoria di mutui, è interessante che K.C. Konway, tale è il nome dell’analista, ha stimato che le perdite delle banche sui mutui commerciali dovrebbero esplodere letteralmente l’anno prossimo, una previsione da brivido alla luce delle dimensioni di questa parte del mercato del mortgage statunitense, valutabile in poco meno di 7 mila miliardi di dollari.

Non fornisco volutamente la percentuale di default indicata da Konway in quanto ho letto solo il lancio dell’Associated Press e non il rapporto completo, ragione per la quale mi auguro vivamente che quel dato sia frutto di una svista del redattore, ma non è da oggi che circolano stime inquietanti sulle perdite prossime venture legate ai commercial mortgage.

Ho accennato nella puntata di ieri del Diario della crisi finanziaria al rapporto della potente e ancor più preveggente Goldman Sachs che incita ad acquistare azioni delle maggiori banche statunitensi, un buy signal che sorvola a piè pari sulla questione delle difficoltà che le stesse stanno incontrando nel farsi restituire i soldi prestati ai titolari di carte di credito o ai destinatari delle varie forme di credito al consumo, alle imprese di ogni ordine e grado, a coloro che hanno contratto un mutuo residenziale o commerciale e via discorrendo.

Ma, come sto ripetendo da quando è iniziata quest’avventura editoriale, il problema dei crediti problematici non rappresenta che una parte delle preoccupazioni dei banchieri, in quanto su questo già di per sé ingente ammontare è avvenuta una sorta di moltiplicazione dei pani e dei pesci che ha prodotto quella ancora ben poco scalfita montagna di titoli più o meno tossici presente nei bilanci delle principali entità protagoniste del mercato finanziario.

Che le cose non siano semplici lo dimostra la candida dichiarazione di John Thain, un Goldman Boy passato prima alla presidenza del New York Stock Exchange e poi alla guida di Merrill Lynch poco prima dell’acquisizione da parte di Bank of America, che ha ammesso di non avere compreso sino in fondo i rischi cui era esposta l’ex investment bank.

So bene che è difficile credere che un banchiere del suo calibro non abbia avuto la percezione del baratro sul quale oscillava la banca da lui guidata già da qualche mese, eppure credo che quello che è accaduto a Thain sia avvenuto anche a Chairman e Chief Executive Officer di altri colossi creditizi, per la semplice ragione che era davvero difficile anche per le persone al vertice di queste banche universali avere un’idea esatta di quello che stavano combinando gli apprendisti stregoni delle fabbriche prodotto delle divisioni di Corporate & Investment Banking, temo, anzi, che non la sapessero esattamente neanche questi ultimi!.