mercoledì 21 ottobre 2009

I banchieri centrali fanno la voce grossa!


Il calo a sorpresa nel mese di settembre dell’indice che misura i prezzi alla produzione ha gelato gli entusiasmi di Wall Street, mandando tutti e tre gli indici in flessione in apertura, anche perché è chiaro che difficilmente si potrà parlare di una ripresa reale e sostenibile senza che vi sia un allontanamento dei prezzi al consumo e di quelli alla produzione dalle attuali flessioni anno su anno, anche se le stesse sono in un ordine di grandezza meno vistoso di quello segnalato nel luglio di quest’anno..

Gli ottimisti possono comunque appigliarsi alla lieve variazione positiva delle costruzioni di nuove case, cresciute dello 0,5 per cento in settembre, anche se meno di quanto avessero previsto gli analisti, mentre si registra una flessione molto più netta dei permessi di costruzione, calati dell’1,2 per cento, la più alta contrazione in cinque mesi.

D’altra parte, era prevedibile che, con la fine degli incentivi fiscali per l’acquisto della prima casa, vi sarebbe stato un contraccolpo negativo, anche se sono in corso iniziative parlamentari per portare gli sgravi sino al 30 giugno dell’anno prossimo, ma il problema sta nel fatto che chi poteva permettersi l’acquisto lo ha verosimilmente già fatto.

Non si è ancora spenta l’eco delle dichiarazioni di Bernspan sulla necessità di tirare il freno nelle spese del governo federale, un appello giunto dopo l’ufficializzazione di un deficit per l’anno fiscale che si è appena concluso cifrabile in 1.420 miliardi di dollari, poco meno del triplo di quello registrato l’anno fiscale precedente e che non fa escludere che, in assenza di un redde rationem governativo, il sistema della riserva federale possa decidere di inasprire la politica monetaria, il che rappresenterebbe un colpo prematuro alla ripresa, anche se si tratta ovviamente di un’ipotesi del tutto teorica e che ha davvero poche possibilità di realizzarsi.

Molto più concreta è, invece la diagnosi che sull’altra sponda dell’Oceano Atlantico ha fatto il consigliere della Banca Centrale Europea, Lorenzo Bini Smaghi, che ha previsto un ulteriore inasprimento del credit crunch e la necessità che le banche europee procedano al più presto a una significativa ricapitalizzazione, dichiarazioni che fanno pensare che in quel di Francoforte si stia pensando seriamente di portare il livello minimo del TIER 1 alla soglia dell’8 per cento, un livello che metterebbe in seria difficoltà le banche di molti paesi membri, certamente quelle italiane che, in molti e importanti casi, sono ben lontane da un simile valore.

Il ritorno ad accenti severi da parte dei banchieri centrali non va comunque preso sotto gamba, anche perché era chiaro da tempo che la politica lassista e in certi casi sostitutiva svolta dalle stesse non poteva durare all’infinito, così come non è ipotizzabile che continui all’infinito l’alimentazione delle operazioni di trading delle banche globali attraverso prestiti a tassi bassissimi se non prossimi allo zero.

E’ comunque chiaro che un cambiamento di rotta da parte di Bernspan e Trichet non è cosa che possa accadere in tempi rapidi, ma, come si suol dire, uomo avvisato mezzo salvato e sono certo che molti campanelli d’allarme stanno suonando nelle sale dei consigli di amministrazione delle banche e delle altre entità protagoniste del mercato finanziario globale, così come stanno andando a pieno regime i sistemi deputati a valutare l’impatto di una variazione dei tassi sui loro conti già non troppo brillanti.