Quello che è riuscito a J.P. Morgan Chase, ma ancor di più a Goldman Sachs e sicuramente sarà così anche per Morgan Stanley, cioè di più che compensare le perdite legate alle svalutazioni e messe a perdita su finanziamenti di ogni ordine e specie con i sovrabbondanti proventi dell’investment banking, non si è verificato né in Citigroup, né tanto meno in Bank of America, che ha annunciato oggi un rosso nel terzo trimestre di un miliardo di dollari tondo in larga parte legato all’alluvione di messe a perdita relative all’attività tradizionale, che hanno pesato per 9,6 miliardi di dollari, mentre erano poco più di quattro nello stesso trimestre dell’anno scorso.
Quello che sta accadendo a livello delle banche globali, al di là delle specificità che sto cercando di analizzare caso per caso, permette di capire in quali guai si trovino le banche statunitensi di medie e piccole dimensioni che non possono permettersi di partecipare al gioco delle scommesse e che si ritrovano a fare i conti con il progressivo peggioramento della qualità dell’attivo e credo proprio che, alla fine della fiera, il conto dei decessi bancari nel corso del 2009 sarà molto più pesante di quello che risultava la settimana scorsa, quando ha chiuso i battenti la centesima banca dall’inizio dell’anno.
Ma tornando a Bank of America, va detto che le acquisizioni più o meno forzose effettuate nel corso della prima parte della tempesta perfetta hanno prodotto risultati molto diversi, in quanto le attività di quella che un tempo era Countrywide hanno contribuito pesantemente al rosso, mentre dalla divisione che accoglie quel che resta di Merrill Lynch sono venuti profitti per 2,2 miliardi di dollari, anche se ne occorreranno di trimestri per recuperare i circa 27 miliardi persi dalla ex investment bank nel quarto trimestre del 2008.
Il vivace dibattito in corso su quale delle lettere dell’alfabeto potrà meglio rappresentare la recessione iniziata alla fine del 2007 rischia di infrangersi sulla dura realtà del perdurante stato comatoso dell’attività bancaria, anche perché molti degli effetti prodotti dalla attualmente profittevole attività di Corporate & Investment Banking stanno aggravando la situazione di quella clientela che viene meno all’impegno di onorare le scadenze di pagamento, innescando una sorta di circolo vizioso che non può non preoccupare l’amministrazione Obama e il Congresso, non fosse altro che per la semplicissima ragione che sta accadendo esattamente l’opposto di quello che era stato vigorosamente promesso sia al di qua che al di là dell’Oceano Atlantico, promesse che vertevano sul fatto che non sarebbe stato più consentito alle donne e agli uomini della finanza di continuare a fare quelle stesse cose che ci hanno portati dritti dritti allo scoppio della tempesta perfetta!
Qualche insegnamento dovrebbe venire poi dalla seconda notizia del giorno, che è rappresentata dal crollo dei profitti della General Electric, passati dai 4,3 miliardi di dollari del terzo trimestre 2008 ai 2,4 miliardi conseguiti quest’anno, un quasi dimezzamento determinato dal quasi azzeramento degli utili del suo braccio finanziario, GE Capital, un’entità che prima della crisi finanziaria contribuiva per quasi metà ai profitti del gigante industriale, ma quel che è peggio è che le prospettive di buona parte degli investimenti di GE Capital sono davvero pessime, in particolare quelle legate agli investimenti diretti in centri commerciali o in mutui fatti a chi ha realizzato mall, shopping center o altre forme di insediamento commerciale, iniziative che finiscono per coinvolgere General Electric in quella che minaccia di essere una sciagura molto superiore a quella dell’immobiliare residenziale.