Abituato a vivere nel paese della smentita, mi sono guardato bene dal commentare la sorprendente uscita del presidente della Banca Mondiale che qualche giorno fa aveva proposto, senza entrare in dettagli tecnici, un ritorno di un gold exchange standard limitato alle valute più importanti del pianeta e cioè il dollaro, l’euro, la sterlina e lo yen, lasciando anche capire che sarebbe stato auspicabile estendere tale sistema anche allo yuan cinese.
Nella rettifica odierna, Robert Zoellick afferma di non avere mai voluto proporre il ritorno a quel sistema che aveva il suo perno nel rapporto tra 35 dollari e un oncia di quello che Keynes chiamava un relitto barbarico, ma che non è igienico chiudere gli occhi sul ruolo da elefante nella stanza (noi diremmo elefante in un negozio di ceramiche), un ruolo che è sotto gli occhi di tutti e che ha portato l’oro a toccare e superare la quotazione di 1.400 dollari per oncia, segno inequivocabile della sfiducia di molti investitori nell’economia di carta.
Il bello è che non sono passati molti giorni da quando Timothy Geithner aveva proposto in pieno G20 l’adozione di un sistema che assomigliava molto alla International Clearing Union sostenuta da John Maynard Keynes alla Conferenza di Bretton Woods del 1944 e bocciata proprio dal ministro del Tesoro dell’epoca, anche se va detto che la proposta di Keynes era molto più restrittiva di quella di Geithner che, in luogo di un saldo della bilancia commerciale pari o prossima allo zero, prevede avanzi e disavanzi contenuti entro una soglia del 4 per cento, per di più trattabile.
Va detto che all’epoca in cui Keynes proponeva il suo sistema gli eventuali deficit comportavano la perdita proprio del oro di cui ha parlato nei giorni scorsi Zoellick, il che comportava immediate misure correttive per evitare di intaccare ulteriormente le riserve auree.
Sarebbe errato ritenere che questo fiorire di proposte, in particolare quella di Geithner e quella di Zoellick, siano accademia, per almeno due ordini di motivi, il primo rappresentato dalla persistenza di squilibri commerciali a carattere strutturale, soprattutto il disavanzo statunitense e, di converso, gli avanzi della Germania, del Giappone e di quella Cina che ha conseguito ieri un avanzo di 29 miliardi di dollari e rotti, il secondo record mai realizzato, mentre il secondo è rappresentato dalle possibile conseguenze del Quantitative Easing II da poco annunciato dal FOMC della Federal Reserve.
E’ molto concreto, infatti, il rischio che l’inflazione cominci a correre negli Stati Uniti d’America, pur in presenza di bassi livelli di crescita, così come è del tutto probabile che il dollaro ricominci a scivolare verso il basso ad onta di tutti i tentativi fatti dalle banche centrali europee e asiatiche effettuati affinché ciò non accada, sforzi che, nel medio periodo difficilmente potranno conseguire il risultato sperato