Dopo il balzo in avanti dell'ISM statunitense, passato da 54,4 in settembre a 56,9 in ottobre, un analogo movimento al rialzo è stato reso noto ieri mattina con riferimento alla Cina e all'India, dando l'idea di una ripresa in corso a livello globale, grazie anche ad analoghi segnali provenienti da due importanti paesi europei, ed è così che viene visto con una certa enfasi il balzo in avanti del purchase management index cinese, passato dal 53,8 di settembre al 54,7 di ottobre, mentre un analogo indice indiano gestito dalla HSBC è passato dal 55,1 di settembre al 57,2 di ottobre.
La differenza tra i due dati è rappresentata dal fatto che la produzione indiana è in larga misura destinata al mercato interno, mentre quella cinese dipende in misura tutt’altro che marginale dalla domanda estera che, almeno a giudicare dai dati relativi alla bilancia commerciale cinese non sta andando proprio benissimo.
Alla festa dell’Asia non ha partecipato il Giappone, con l’indice Nikkey in calo anche ieri, a fronte di rialzi medi del 2 per cento degli altri mercati asiatici, un paese che non festeggia perché alla produzione industriale in calo, l’indice dei prezzi al consumo che registra variazioni negative e un saldo commerciale che seppure ampiamente positivo non può non risentire di uno yen che sta tentando di battere il precedente massimo nei confronti del dollaro conseguito quindici anni orsono a 79 yen e spiccioli per un dollaro e ieri mattina era 80,4.
Analogo andamento hanno avuto indici similari in Gran Bretagna e in Germania, due paesi che non potrebbero essere più diversi sul piano dei conti con l’estero, strutturalmente deficitario il primo, ad onta del petrolio del mare del nord, strutturalmente in avanzo la seconda e non a caso fiera oppositrice del piano di Tim Geithner che prevedeva un limite del 4 per cento del prodotto interno lordo per avanzi e disavanzi.
Tanto è, alla vigilia di due avvenimenti importanti come le elezioni di Mid Term e il possibile avvio di una fase di quantitative easing da parte della Federal Reserve, i futures sui tre principali indici statunitensi sono saliti sin da quando negli Stati Uniti d’America era ancora l’alba, rialzi che preannunciano un’apertura ben diversa da quella delle ultime due sedute che si sono chiuse sostanzialmente in parità, rallentando solo dopo il pessimo dato su redditi personali e consumi, in calo i primi e in modestissima crescita i secondi.
La palla al piede della prima economia del mondo continua a essere il settore immobiliare, più in particolare la continua flessione dei prezzi delle case al centro di un bel servizio di Les Christie di CNN Money.com, nel quale viene citata la previsione di Fiserv, una società di analisi e previsioni, che vedeva a febbraio di quest’anno una crescita dei prezzi per il 2011 del 4 per cento e che ora ha dovuto rivedere la previsione portandola a una flessione del 7,1 per cento tra il 30 giungo 2010 e il 30 giugno 2011, una variazione di oltre 11 punti percentuali che la dice lunga sul disappunto provocato dai dati mensili sui prezzi che sono tornati in negativo dopo quattro mesi di recupero.
Dello stesso tenore è la visione di Mark Zandi capo economista di Moody’s Analitic, che vede un calo dell’8 per cento da ora al terzo trimestre dell’anno, portando così il calo dal picco dei prezzi al 34 per cento, vedendo una possibile ripresa nel 2012, una previsione che deve fare i conti con il milione di case che saranno espropriate quest’anno e con la stima di Morgan Stanley che vede 3,1 milioni di mutuatari in serissime difficoltà.