Dopo tante puntate del Diario della crisi finanziaria dedicate ai problemi dell’Irlanda e dell’area dell’euro, è utile tornare a porre l’attenzione sugli Stati Uniti d’America che rimangono l’area economica nella quale ha avuto inizio la tempesta perfetta.
Un articolo pubblicato su uno dei siti americani che visito maggiormente si permette di ironizzare sulle differenze tra il nuovo e il vecchio continente, dimenticando che buona parte dei problemi di cui soffre il sistema bancario irlandese e un po’ tutto quello europeo hanno origine nei prodotti più o meno tossici sparsi per il mondo dalle investment banks e dalle banche più o meno globali con sede negli States.
Nei giorni in cui ho volto la mia attenzione altrove, ci sono state notizie importanti quali la revisione verso l’alto della crescita annualizzata del prodotto interno lordo statunitense nel terzo trimestre, passata dal 2,0 al 2,5 per cento, l’aumento dei redditi e dei consumi, ma anche quella della propensione al risparmio (dal 5,6 al 5,7 per cento del reddito disponibile), il calo degli ordini di beni durevoli in ottobre (-3,3 per cento), un forte calo dei jobless claims e un fortissimo calo delle vendite di nuove case, giunte al minimo degli ultimi 47 anni.
Come si vede un bel minestrone di notizie alquanto contraddittorie tra di loro, ma che non mi inducono a cambiare opinione sulla crescita negli USA come di un fenomeno in larga misura attribuibile al ciclo delle scorte, anche perché la revisione della crescita nel terzo trimestre non ha toccato la componente consumi che allo 0,8 (cioè 0,2 moltiplicato 4) era e tale è rimasta, così come il calo a 407 mila dei jobless claims settimanali dovrà vedere conferma nelle prossime settimane prima che lo si possa giudicare una vera inversione di tendenza.
Un discorso a parte lo merita l’aumento della propensione al risparmio, un fenomeno cui assistiamo da parecchi mesi e che è clamoroso ove si pensi che prima della tempesta perfetta si aggirava intorno all’uno per cento, quasi sei volte meno dei valori toccati attualmente, un dato che va di pari passo con la risistemazione del debito delle famiglie, che vede non solo una razionalizzazione, ma anche una riduzione dei debiti.
Collegare questo fenomeno alla riduzione degli ordini di beni durevoli è quasi automatico e credo che se ne vedranno presto conseguenze marcate nella produzione di questi beni che sono di per sé costosi e che un tempo erano acquistati attraverso finanziamenti di tipo finalizzato o meno!
Così come un discorso a parte lo merita il tonfo delle vendite di case nuove, quelle esistenti sono ancora drogate dalla presenza massiccia di vendite legate agli espropri, vendite che sono seguite da quanti sanno che, se non si assisterà ad una svolta nell’edificazione di case nuove e all’apertura di nuovi cantieri, difficilmente si potrà parlare di una fine della crisi.